La teoria del sè e i disturbi della funzione di contatto

30 Maggio 2024



'}}
'}}

 

Negli articoli precedenti  di questa approfondita disamina, ho parlato degli elementi costitutivi del sè  nella teoria della Gestalt e della barriera contatto (https://alberonimagazine.it/freud-e-la-barriera-contatto/ e https://alberonimagazine.it/la-teoria-del-se-seconda-parte/).

Il Sè  costituisce la premessa, il  veicolo ed il contenuto stesso di quel senso di identità-differenziazione (nei due livelli biologico e psichico tra loro  intimamente interconnessi) che troviamo definito e a rilievo nell’individuo  adulto e sano e, al contrario, precario, incerto, sfocato nell’individuo ancora in formazione o nevrotico.

Se infatti ci riferiamo alla teoria del Sé, delle modalità cioè che contraddistinguono il modo-di-essere-nel-mondo di un  organismo-individuo osservato, per come viene presentata da P. Goodman, troviamo come l’attenzione viene posta  specificamente sui cosiddetti fenomeni di confine tra lo stesso, appunto, ed il mondo con cui interagisce.

Tali modalità interattive sono state raggruppate in un numero limitato di possibilità osservabili e che, notoriamente, nel linguaggio  della Gestalt sono essenzialmente: la confluenza, l’egotismo, la introiezione, la proiezione, la retroflessione. e la  proflessione.

Personalmente li ho chiamati disturbi della funzione di contatto laddove quest’ultima è sinonimo di Sé.

Rifacendoci alla tripartizione proposta da F. Perls in Zona Interna, Esterna e Mediana, propongo il  completamento dello schema grafico che possiamo derivarne sotto forma di una figura delimitata da un perimetro che  la definisce nella sua interezza.

 

La teoria del sè e i disturbi della funzione di contatto

Ovvio ed intenzionale appare l’accostamento di immagini con un organismo  unicellulare provvisto di membrana.

 

L’immagine può costituire un valido supporto per  rappresentare i fenomeni di interazione organismo/ambiente,  che  possiamo ridefinire funzioni di membrana o del Sé (Zerbetto, 1991, 131).

 

 

Tale considerazione ci porta ad individuare nelle due modalità estreme, della iper o della im-permeabilità di  membrana, la polarità fondamentale entro cui le funzioni discriminative si debbono muovere per assolvere  efficacemente alla funzione fondamentale di frontiera/contatto, dove frontiera sta per separazione, blocco nel  passaggio di elementi concreti o informazioni e contatto sta per facilitazione al passaggio degli stessi.  Prima di scendere tuttavia nell’esame più dettagliato delle funzioni di membrana, ritengo utile proporre uno schema  elementare in cui si rappresentano tutte le possibilità elementari di interazione organismo/ambiente (O/A).  Ripercorrendo i classici modi di funzionare del Sé o accadimenti al confine (frontiera/contatto) tra un mondo interno  (organismo-individuo) ed un mondo esterno (ambiente) ed utilizzando il modello della membrana semipermeabile  abbiamo una serie di schemi che propongo nelle figure seguenti, dove sono presentati in sintesi.

 

 

La teoria del sè e i disturbi della funzione di contatto

 

 

Nella confluenza, la membrana è iper-permeabile

Questa condizione è fisiologica e vitale nelle fasi precoci di  crescita del feto e del bambino piccolo che, come sappiamo, non ha raggiunto neppure a livello biologico-tissutale un  sufficiente livello di differenziazione dalla madre al punto di avvalersi degli anticorpi fornitigli dalla stessa per  combattere elementi patogeni estranei.

Tale recettività indicriminata si renderà disfunzionale allorchè l’organismo sarà  immerso in un ambiente negativo (presenza di sostanze nocive, fattori disturbanti di diverso tipo: concreto,  emozionale, valoriale etc.) dai quali l’organismo-individuo non sia in grado di difendersi-diferenziarsi-individuarsi  attivando l’elemento frontiera della polarità strutturale del Sé frontiera/contatto.

L’egotismo

L’egotismo, in quanto possibilità di chiusura selettiva, è quindi fondamentale alla crescita dell’individuo e trova  riscontro clinico puntuale in molteplici circostanze e fasi evolutive: la capacità di dire no, individuata da Spitz (1965)  attorno ai 6 mesi, di differenziarsi quindi dalla fase simbiotica con l’ambiente materno (Mahler, tr. it. 1978), lo  sviluppo della capacità aggressivo-competitiva tesa a lottare per il proprio territorio vitale in senso ampio e a  difenderlo da possibili invasioni, gli attegiamenti oppositivi tipici della condotta adolescenziale tesa a demarcare i  confini del sé e la propria identità sessuale, cultuale e sociale e così via.

In questo caso, un atteggiamento egotistico positivo può evolversi in negativo allorchè si produca un  atteggiamento cronico ed irrigidito di chiusura al mondo esterno con perdita della funzione Io, della possibilità cioè di  discriminare gli stimoli ed attuare le scelte più idonee all’organismo/individuo. Questa è una condizione che si  presenta puntualmente in persone esposte ad ambienti non ospitali e quindi potenzialmete pieni di pericoli - reali o  fantasmatici - per la sopravivenza (mancaza di calore, sicurezza, cibo e riconoscimento) riassumibili nel concetto di  ambiente primario favorevole o di madre sufficientemente buona di Winicott (1962).

Evidenti risultano le implicazioni terapeutiche in situazioni in cui il paziente evidenzi un’attitudine attuale (in genere  corrispondente ad uno stile abituale di comportamento strutturatosi come tratto caratteriale) in cui l’attitudine  confluente o quella egotistica siano sbilanciate e non in rapporto polare dinamico e funzionale.

Zelig

Il personaggio Zelig,  presentato da Woody Allen nell’omonimo film, descrive caricaturalmente le vicissitudini di un uomo totalmente  ipersintonico con l’ambiente e quindi influenzato dalle diverse personalità con cui viene in contatto: in definitiva una  assoluta incapacità di essere sé stesso come individuo diverso dagli altri.  Il lavoro terapetico, in tali situazioni, verterà essenzialme nel rimuovere i divieti (introietti negativi) al processo di  differenziazione e a mettere in moto quelle fantasie, progetti e comportamenti che possano sostenere questo tipo di  processo, ovviamente con la cautela a non spingere il processo oltre le capacità dell’individuo ad elaborare il  sentimento di lutto collegato alla separazione.  Nel caso di un’attitudine egotistica, si tratterà al contrario di sostenere il processo di consapevolezza che  rimandi ai vissuti in cui il paziente scelse, seppure ad un livello inconsapevole, di difendersi disperatamente e    sistematicamente da ogni elemento del mondo esterno e farlo confrontare con la non-attualità della stessa situazione.

Lo scollamento dell’esperienza precoce dalla presa di coscienza nel qui e ora di elementi di realtà possibilmente  mutati, sosterrà il percorso di un progressivo allentamento delle chiusure difensive ed un’attitudine progressivamente  più recettiva e disposta ad accogliere il diverso e il nuovo liberando le energie dell’eccitazione e dell’arricchimento  che inevitabilmente accompagnano una permeabilità più osmotica con l’ambiente.

 

L'introiezione

Pur avendo parlato dell’egotismo, subito dopo la confluenza è l’introiezione a seguire la confluenza nel percorso  evolutivo. La indiscriminata recettività rende possibili infatti ogni sorta di introiezione. Le stesse, evidenziano, su un  piano di realtà ed anche metaforico, una prima fase in cui l’introietto viene accettato completamente (fase  dell’allattamento) ed una in cui il soggetto supera una posizione recettivo-passiva per sviluppare progresivamente  un’attitudine aggressivo-attiva (dentizione, masticazione, digestione di cibi che comportano un maggiore lavoro di  assimilazione, ricerca attiva degli oggetti (cibi-oggetti-persone) per soddisfare bisogni e desideri.  Anche gli introietti (e l’operazione che li consente) possono quindi essere sia buoni che cattivi. L’introiezione di una  buona madre, come sappiamo, rappresenta la condizione fondamentale per sviluppare quel senso di sicurezza basale di autocontenimento/ autoappoggio, di identità primaria che renderà possibile il superamento della prima fase simbiotica e  quindi la possibilità di tollerare l’angoscia di separazione e di proseguire nel processo di individuazione. Analogo  discorso può farsi per la figura paterna come elemento strutturante e normativo che favorisce il percorso dal sostegno  ambientale all’autoappoggio collegato all’acquisizione dell’indipendenza emotiva, dell’acquisizione di abilità pratiche  e conoscitive, dello sviluppo di una sufficiente attitudine aggressivo-manipolativa sul mondo esterno.  Introietti negativi del tipo “sei un buono a nulla”, “diffida di tutti” o gli infiniti altri che l’esperienza quotidiana, oltre  che clinica, ci fanno incontrare sono alla base di condizionamenti che limitano in modo più o meno grave la possibilità  dell’individuo a crescere, fare esperienze, aricchirsi, sviluppare le capacità discriminative e di scelta per realizzare un  Sé (osmosi individuo/ambiente) funzionale, capace quindi di eccitazione e di crescita.  Un radicato introietto negativo del tipo “non valgo nulla” mi renderà indisponibile ad introiettare un messaggio di  apprezzamento, mentre un introietto sufficientemente positivo del tipo “valgo qualcosa” mi immunizzerà da un insulto  svalorizzante.  Nella retroflessione la chiusura di membrana non è tanto in entrata, come nell’egotismo, quanto in uscita nella  direzione individuo/ambiente. Anche qui la connotazione può essere positiva o negativa sempre in rapporto ad una  interazione e mai astraendo la funzione dal contesto spazio/temporale (storicizzazione) in cui avviene.

L’individuo che retroflette traccia una linea di confine fra sé e l’ambiente e la traccia nettamente. Egli tratta se stesso  come originariamente voleva trattare altre persone o oggetti e dirige le sue energie non più all’esterno nel tentativo di  manipolare l’ambiente per soddisfare i suoi bisogni, ma all’interno sostituendo come bersaglio del comportamento se  stesso all’ambiente. Mentre un esercizio sano della retroflessione consente di contenere impulsi per dilazionarne  l’espressione in tempi e situazioni che ne consentano un più efficace soddisfacimento, una cronica attiutudine a  retroflettere comportarà una ritenzione abituale dei propri bisogni con conseguenti comportamenti autoinibitori che  ostacoleranno una più più sana osmosi tra bisogni dell’individuo e possibilità di contatto con le risorse dell’ambiente.  Il tentativo di rappresentarla graficamete la proiezione è reso più difficile dal maggiore elemento  smbolico/fantasmatico cui tale operazione generalmentesi accompagna. A tale livello, l’aspetto positivo consiste nella  capacità, propria degli esseri maggiormente evoluti, di pevedere e di anticipare i comportamenti dell’altro grazie alla  possibilità di mettersi nei suoi panni e di rappresentarsi il mondo visto con i suoi occhi (identificazione proiettiva).  Questo tipo di attitudine, posseduta anche da animali più evoluti che ne dispongono per apprendere efficaci  comportameti di predazione e di conquista sessuale, si è enormemente sviluppata nell’uomo, sostenuta dalla intrinseca  hilflosichkeit (impotenza primitiva) di essere cioè totalmente incapaci di autonomia e quindi in balia quindi di eventi  esterni minacciosi ed imprevedibili.  A questa funzione dobbiamo anche la capacità di elaborare inferenze sul pensiero altrui e di destreggiarci nelle  intricatissme trame delle manipolazioni mentali nostre e altrui.  Questa straordinaria dotazione positiva si trasforma in operazione disfunzionale allorchè il soggetto proietta all’esterno  non tanto il riconoscimento di qualcosa che è anche proprio, ottenendo la possibilità di conoscere e rappresentarsi  l’altro-da-sé ma proietando sull’altro-da-sé una parte di sé che disconosce alienandola.  Tale disappropriazione di parti di sé deriva generalmente da introietti disfunzionali. Un introietto negativo relativo  all’aggressività e alla legittimità di esprimere con vigore le proprie emozioni e di difendere i propri diritti vitali, ad  esempio, potrà portare una persona a non riconoscere come propria l’emozione repressa. Questa oprazione, lungi dal  far scomparire l’emozione stessa, la sovrainveste di un’energia che tende a proiettarsi su un elemento esterno in  qualche modo collegato al tema in oggetto. Il soggetto diverrà, ad esempio, fobico per l’aggressività altrui  amplificando la percezione passiva della stessa e strutturando una concezione cronica di sentirsi vittima a confronto di  un mondo sempre più minaccioso. La processualità verso il delirio di persecuzione sarà quindi avviata.  A tali operazioni, che rappresentano quelle meggiormente approfondite, se ne sono aggiunte più di recente altre due.    La proflessione (un misto di proiezione e retroflessione), proposta da S. Crocker (1981, 13) come: “manovra in cui  qualcuno fa ad un’altra persona qualcosa che vorrebbe gli fosse fatto”.  Nell’elaborazione alla luce delle operazioni di membrana-sé, può definirsi anche come l’opposto della retroflessione in  quanto eccessiva permeabilità in uscita (con i corollari clinici della impulsività, dell’incapacità a trattenere e quindi a  dilazionare il soddisfacicmento delle esigenze interne).

Infine la deflessione, definita dai Polster (Polster E. e M., 1986, 85) come: “manovra per distogliersi dal contatto  diretto. E’ un modo di togliere il calore al contatto attuale, per mezzo di circonlocuzioni, parlare troppo, ridere su ciò  che si dice, non guardare direttamente la persona con cui si parla, essere astratti piuttosto che specifici ... parlare su  piuttosto che parlare a e banalizzare l’importanza di cò che si è appena detto”.  I limiti di spazio per questa esposizione non consentono di estendere le considerazioni alle applicazioni cliniche e alla  pratica della psicoterapia. La motivazione principale a riservare a tale argomento uno spazio più ampio è nato dal  tenattivo di ricondurre i quadri psicopatologici e, ancor più in generale, i diversi modi-di-essere-nel-mondo ad un  modello semplice, universale ed epistemologicamente fondato su premesse di carattere biologico/organismico. Lo  stesso termine di contatto, infatti, da premesse di carattere più biologico (contenimento del feto nell’utero materno  nello holding) si allarga a cerchi concentrici interessando non più il solo tatto cutaneo e il gusto ma anche i  tele recettori (olfatto, suono, luminosità) come infine i codici simbolici (immagini, linguaggio) sino a spaziare su  possibilità di incontro sempre più ampio e sofisticato.

Condividi questo articolo

'}}

Riccardo Zerbetto

Riccardo Zerbetto è psichiatra e direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt (www.psicoterapia.it/cstg). Già presidente della European Association for Psychotherapy (EAP) e della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP.). Co-fondatore di Alea-Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio. Direttore scientifico di Orthos, associazione per lo studio e il trattamento dei giocatori d’azzardo.

ARTICOLO PRECEDENTEPROSSIMO ARTICOLO
Back to Top
×