Negli articoli precedenti di questa approfondita disamina, ho parlato degli elementi costitutivi del sè nella teoria della Gestalt e della barriera contatto (https://alberonimagazine.it/freud-e-la-barriera-contatto/ e https://alberonimagazine.it/la-teoria-del-se-seconda-parte/).
Il Sè costituisce la premessa, il veicolo ed il contenuto stesso di quel senso di identità-differenziazione (nei due livelli biologico e psichico tra loro intimamente interconnessi) che troviamo definito e a rilievo nell’individuo adulto e sano e, al contrario, precario, incerto, sfocato nell’individuo ancora in formazione o nevrotico.
Se infatti ci riferiamo alla teoria del Sé, delle modalità cioè che contraddistinguono il modo-di-essere-nel-mondo di un organismo-individuo osservato, per come viene presentata da P. Goodman, troviamo come l’attenzione viene posta specificamente sui cosiddetti fenomeni di confine tra lo stesso, appunto, ed il mondo con cui interagisce.
Tali modalità interattive sono state raggruppate in un numero limitato di possibilità osservabili e che, notoriamente, nel linguaggio della Gestalt sono essenzialmente: la confluenza, l’egotismo, la introiezione, la proiezione, la retroflessione. e la proflessione.
Personalmente li ho chiamati disturbi della funzione di contatto laddove quest’ultima è sinonimo di Sé.
Rifacendoci alla tripartizione proposta da F. Perls in Zona Interna, Esterna e Mediana, propongo il completamento dello schema grafico che possiamo derivarne sotto forma di una figura delimitata da un perimetro che la definisce nella sua interezza.
Ovvio ed intenzionale appare l’accostamento di immagini con un organismo unicellulare provvisto di membrana.
L’immagine può costituire un valido supporto per rappresentare i fenomeni di interazione organismo/ambiente, che possiamo ridefinire funzioni di membrana o del Sé (Zerbetto, 1991, 131).
Tale considerazione ci porta ad individuare nelle due modalità estreme, della iper o della im-permeabilità di membrana, la polarità fondamentale entro cui le funzioni discriminative si debbono muovere per assolvere efficacemente alla funzione fondamentale di frontiera/contatto, dove frontiera sta per separazione, blocco nel passaggio di elementi concreti o informazioni e contatto sta per facilitazione al passaggio degli stessi. Prima di scendere tuttavia nell’esame più dettagliato delle funzioni di membrana, ritengo utile proporre uno schema elementare in cui si rappresentano tutte le possibilità elementari di interazione organismo/ambiente (O/A). Ripercorrendo i classici modi di funzionare del Sé o accadimenti al confine (frontiera/contatto) tra un mondo interno (organismo-individuo) ed un mondo esterno (ambiente) ed utilizzando il modello della membrana semipermeabile abbiamo una serie di schemi che propongo nelle figure seguenti, dove sono presentati in sintesi.
Nella confluenza, la membrana è iper-permeabile
Questa condizione è fisiologica e vitale nelle fasi precoci di crescita del feto e del bambino piccolo che, come sappiamo, non ha raggiunto neppure a livello biologico-tissutale un sufficiente livello di differenziazione dalla madre al punto di avvalersi degli anticorpi fornitigli dalla stessa per combattere elementi patogeni estranei.
Tale recettività indicriminata si renderà disfunzionale allorchè l’organismo sarà immerso in un ambiente negativo (presenza di sostanze nocive, fattori disturbanti di diverso tipo: concreto, emozionale, valoriale etc.) dai quali l’organismo-individuo non sia in grado di difendersi-diferenziarsi-individuarsi attivando l’elemento frontiera della polarità strutturale del Sé frontiera/contatto.
L’egotismo
L’egotismo, in quanto possibilità di chiusura selettiva, è quindi fondamentale alla crescita dell’individuo e trova riscontro clinico puntuale in molteplici circostanze e fasi evolutive: la capacità di dire no, individuata da Spitz (1965) attorno ai 6 mesi, di differenziarsi quindi dalla fase simbiotica con l’ambiente materno (Mahler, tr. it. 1978), lo sviluppo della capacità aggressivo-competitiva tesa a lottare per il proprio territorio vitale in senso ampio e a difenderlo da possibili invasioni, gli attegiamenti oppositivi tipici della condotta adolescenziale tesa a demarcare i confini del sé e la propria identità sessuale, cultuale e sociale e così via.
In questo caso, un atteggiamento egotistico positivo può evolversi in negativo allorchè si produca un atteggiamento cronico ed irrigidito di chiusura al mondo esterno con perdita della funzione Io, della possibilità cioè di discriminare gli stimoli ed attuare le scelte più idonee all’organismo/individuo. Questa è una condizione che si presenta puntualmente in persone esposte ad ambienti non ospitali e quindi potenzialmete pieni di pericoli - reali o fantasmatici - per la sopravivenza (mancaza di calore, sicurezza, cibo e riconoscimento) riassumibili nel concetto di ambiente primario favorevole o di madre sufficientemente buona di Winicott (1962).
Evidenti risultano le implicazioni terapeutiche in situazioni in cui il paziente evidenzi un’attitudine attuale (in genere corrispondente ad uno stile abituale di comportamento strutturatosi come tratto caratteriale) in cui l’attitudine confluente o quella egotistica siano sbilanciate e non in rapporto polare dinamico e funzionale.
Zelig
Il personaggio Zelig, presentato da Woody Allen nell’omonimo film, descrive caricaturalmente le vicissitudini di un uomo totalmente ipersintonico con l’ambiente e quindi influenzato dalle diverse personalità con cui viene in contatto: in definitiva una assoluta incapacità di essere sé stesso come individuo diverso dagli altri. Il lavoro terapetico, in tali situazioni, verterà essenzialme nel rimuovere i divieti (introietti negativi) al processo di differenziazione e a mettere in moto quelle fantasie, progetti e comportamenti che possano sostenere questo tipo di processo, ovviamente con la cautela a non spingere il processo oltre le capacità dell’individuo ad elaborare il sentimento di lutto collegato alla separazione. Nel caso di un’attitudine egotistica, si tratterà al contrario di sostenere il processo di consapevolezza che rimandi ai vissuti in cui il paziente scelse, seppure ad un livello inconsapevole, di difendersi disperatamente e sistematicamente da ogni elemento del mondo esterno e farlo confrontare con la non-attualità della stessa situazione.
Lo scollamento dell’esperienza precoce dalla presa di coscienza nel qui e ora di elementi di realtà possibilmente mutati, sosterrà il percorso di un progressivo allentamento delle chiusure difensive ed un’attitudine progressivamente più recettiva e disposta ad accogliere il diverso e il nuovo liberando le energie dell’eccitazione e dell’arricchimento che inevitabilmente accompagnano una permeabilità più osmotica con l’ambiente.
L'introiezione
Pur avendo parlato dell’egotismo, subito dopo la confluenza è l’introiezione a seguire la confluenza nel percorso evolutivo. La indiscriminata recettività rende possibili infatti ogni sorta di introiezione. Le stesse, evidenziano, su un piano di realtà ed anche metaforico, una prima fase in cui l’introietto viene accettato completamente (fase dell’allattamento) ed una in cui il soggetto supera una posizione recettivo-passiva per sviluppare progresivamente un’attitudine aggressivo-attiva (dentizione, masticazione, digestione di cibi che comportano un maggiore lavoro di assimilazione, ricerca attiva degli oggetti (cibi-oggetti-persone) per soddisfare bisogni e desideri. Anche gli introietti (e l’operazione che li consente) possono quindi essere sia buoni che cattivi. L’introiezione di una buona madre, come sappiamo, rappresenta la condizione fondamentale per sviluppare quel senso di sicurezza basale di autocontenimento/ autoappoggio, di identità primaria che renderà possibile il superamento della prima fase simbiotica e quindi la possibilità di tollerare l’angoscia di separazione e di proseguire nel processo di individuazione. Analogo discorso può farsi per la figura paterna come elemento strutturante e normativo che favorisce il percorso dal sostegno ambientale all’autoappoggio collegato all’acquisizione dell’indipendenza emotiva, dell’acquisizione di abilità pratiche e conoscitive, dello sviluppo di una sufficiente attitudine aggressivo-manipolativa sul mondo esterno. Introietti negativi del tipo “sei un buono a nulla”, “diffida di tutti” o gli infiniti altri che l’esperienza quotidiana, oltre che clinica, ci fanno incontrare sono alla base di condizionamenti che limitano in modo più o meno grave la possibilità dell’individuo a crescere, fare esperienze, aricchirsi, sviluppare le capacità discriminative e di scelta per realizzare un Sé (osmosi individuo/ambiente) funzionale, capace quindi di eccitazione e di crescita. Un radicato introietto negativo del tipo “non valgo nulla” mi renderà indisponibile ad introiettare un messaggio di apprezzamento, mentre un introietto sufficientemente positivo del tipo “valgo qualcosa” mi immunizzerà da un insulto svalorizzante. Nella retroflessione la chiusura di membrana non è tanto in entrata, come nell’egotismo, quanto in uscita nella direzione individuo/ambiente. Anche qui la connotazione può essere positiva o negativa sempre in rapporto ad una interazione e mai astraendo la funzione dal contesto spazio/temporale (storicizzazione) in cui avviene.
L’individuo che retroflette traccia una linea di confine fra sé e l’ambiente e la traccia nettamente. Egli tratta se stesso come originariamente voleva trattare altre persone o oggetti e dirige le sue energie non più all’esterno nel tentativo di manipolare l’ambiente per soddisfare i suoi bisogni, ma all’interno sostituendo come bersaglio del comportamento se stesso all’ambiente. Mentre un esercizio sano della retroflessione consente di contenere impulsi per dilazionarne l’espressione in tempi e situazioni che ne consentano un più efficace soddisfacimento, una cronica attiutudine a retroflettere comportarà una ritenzione abituale dei propri bisogni con conseguenti comportamenti autoinibitori che ostacoleranno una più più sana osmosi tra bisogni dell’individuo e possibilità di contatto con le risorse dell’ambiente. Il tentativo di rappresentarla graficamete la proiezione è reso più difficile dal maggiore elemento smbolico/fantasmatico cui tale operazione generalmentesi accompagna. A tale livello, l’aspetto positivo consiste nella capacità, propria degli esseri maggiormente evoluti, di pevedere e di anticipare i comportamenti dell’altro grazie alla possibilità di mettersi nei suoi panni e di rappresentarsi il mondo visto con i suoi occhi (identificazione proiettiva). Questo tipo di attitudine, posseduta anche da animali più evoluti che ne dispongono per apprendere efficaci comportameti di predazione e di conquista sessuale, si è enormemente sviluppata nell’uomo, sostenuta dalla intrinseca hilflosichkeit (impotenza primitiva) di essere cioè totalmente incapaci di autonomia e quindi in balia quindi di eventi esterni minacciosi ed imprevedibili. A questa funzione dobbiamo anche la capacità di elaborare inferenze sul pensiero altrui e di destreggiarci nelle intricatissme trame delle manipolazioni mentali nostre e altrui. Questa straordinaria dotazione positiva si trasforma in operazione disfunzionale allorchè il soggetto proietta all’esterno non tanto il riconoscimento di qualcosa che è anche proprio, ottenendo la possibilità di conoscere e rappresentarsi l’altro-da-sé ma proietando sull’altro-da-sé una parte di sé che disconosce alienandola. Tale disappropriazione di parti di sé deriva generalmente da introietti disfunzionali. Un introietto negativo relativo all’aggressività e alla legittimità di esprimere con vigore le proprie emozioni e di difendere i propri diritti vitali, ad esempio, potrà portare una persona a non riconoscere come propria l’emozione repressa. Questa oprazione, lungi dal far scomparire l’emozione stessa, la sovrainveste di un’energia che tende a proiettarsi su un elemento esterno in qualche modo collegato al tema in oggetto. Il soggetto diverrà, ad esempio, fobico per l’aggressività altrui amplificando la percezione passiva della stessa e strutturando una concezione cronica di sentirsi vittima a confronto di un mondo sempre più minaccioso. La processualità verso il delirio di persecuzione sarà quindi avviata. A tali operazioni, che rappresentano quelle meggiormente approfondite, se ne sono aggiunte più di recente altre due. La proflessione (un misto di proiezione e retroflessione), proposta da S. Crocker (1981, 13) come: “manovra in cui qualcuno fa ad un’altra persona qualcosa che vorrebbe gli fosse fatto”. Nell’elaborazione alla luce delle operazioni di membrana-sé, può definirsi anche come l’opposto della retroflessione in quanto eccessiva permeabilità in uscita (con i corollari clinici della impulsività, dell’incapacità a trattenere e quindi a dilazionare il soddisfacicmento delle esigenze interne).
Infine la deflessione, definita dai Polster (Polster E. e M., 1986, 85) come: “manovra per distogliersi dal contatto diretto. E’ un modo di togliere il calore al contatto attuale, per mezzo di circonlocuzioni, parlare troppo, ridere su ciò che si dice, non guardare direttamente la persona con cui si parla, essere astratti piuttosto che specifici ... parlare su piuttosto che parlare a e banalizzare l’importanza di cò che si è appena detto”. I limiti di spazio per questa esposizione non consentono di estendere le considerazioni alle applicazioni cliniche e alla pratica della psicoterapia. La motivazione principale a riservare a tale argomento uno spazio più ampio è nato dal tenattivo di ricondurre i quadri psicopatologici e, ancor più in generale, i diversi modi-di-essere-nel-mondo ad un modello semplice, universale ed epistemologicamente fondato su premesse di carattere biologico/organismico. Lo stesso termine di contatto, infatti, da premesse di carattere più biologico (contenimento del feto nell’utero materno nello holding) si allarga a cerchi concentrici interessando non più il solo tatto cutaneo e il gusto ma anche i tele recettori (olfatto, suono, luminosità) come infine i codici simbolici (immagini, linguaggio) sino a spaziare su possibilità di incontro sempre più ampio e sofisticato.