Il termine self o Sé, per utilizzare il termine italiano che traduce in modo non soddisfacente quello inglese, e la teoria che a questo concetto si riferisce, rappresenta per la psicologia della Gestalt, una specie di colonna vertebrale, riprendendo un’espressione di S. Ginger (1987, 215). È un modello denso di implicazioni feconde e chiarificatrici, come se per suo tramite tanti pezzi di un mosaico avessero trovato il loro criterio ordinatore.
Uno scheletro evoca l’idea di una struttura solida, rigida, immutabile. Evoca il fantasma di una prigione, di un contenitore sclerotico che uccide la vita o la soffoca nel suo perenne divenire. E’ logico immaginare come un’impostazione intrinsecamente evoluzionistica, esperienzialista, come la Gestalt (in particolare nella persona del suo fondatore e di coloro che nello stesso maggiormente si riconoscono), che così da vicino si imparenta al panta rei eracliteo, all’esistenzialismo, si definisse in modo sospettoso e critico nei confronti di teorizzazioni onnicomprensive.
Ciò nonostante non può sfuggire come la Gestalt si sia inserita in modo insufficiente nel panorama scientifico culturale degli ultimi decenni e come pochi siano stati i contributi e gli sviluppi di rilievo seguiti alle straordinarie intuizioni ed alla altrettanto straordinaria opera di sintesi operata da Fritz Perls e dai suoi primi collaboratori. Dove la Gestalt ha prodotto frutti innovativi e fecondazioni è stato spesso al di fuori dell’ambito propriamente gestaltico. Importanti acquisizioni si sono avute inoltre nel campo dell’agire terapeutico attraverso l’integrazione di concetti e metodologie di lavoro derivate da altri orientamenti e tradizioni (in particolare dall’approccio sistemico nel lavoro focalizzato sulle relazioni individuo-ambiente familiare o sociale dalle tecniche di lavoro sul corpo e dalle pratiche di consapevolezza), mentre una vera evoluzione del patrimonio teorico, pur così vasto nei presupporti dell’impianto gestaltico, lascia a desiderare.
Perls intende con il termine self, o Sé, una connotazione di sintesi rispetto alle tre funzioni che lo connotano -Es, Io e Personalità - e sottolinea come l’uso del pronome riflessivo esprime non a caso l’attitudine attivo-passiva della modalità-di-essere-nel-mondo di un organismo in perenne interazione con l’ambiente in cui è immerso.
Intenzionalmente Perls riporta il sé con la lettera minuscola sottolineando polemicamente come non si tratti di un joyau precieux, di qualcosa, cioè, che merita di essere personalizzato. La traduzione del termine in italiano e la sua corrente versione con lettera maiuscola ha risentito dei contributi di C. G. Jung, e successivamente di orientamento transpersonale, che attribuiscono al termine un senso pleniore di realizzazione consapevole delle funzioni più alte della coscienza individuale, nonchè di H. Kohut che usa questo termine al maiuscolo attribuendo al Sé sia i contenuti della mente (nella Psicologia del Sé in senso stretto, delineata in Narcisismo e analisi del Sé del 1971) che un centro dell’universo psicologico (in La guarigione del Sé del 1978). Personalmente ho aderito ad un orientamento che usa il pronome al minuscolo laddove non abbia connotazioni particolari di significato o, al maiuscolo, allorchè collegato al pronome della teoria gestaltica che ad esso si riferisce analogamente a quanto si fa, ad esempio, con il termine Io in Psicoanalisi.
Attualmente assistiamo ad un ritorno di interesse per quella che viene chiamata la Psicologia del Sé intendendo con questa dizione filoni di ricerca assai distanti tra loro.
E’ mio parere che molte delle intuizioni innovative che compaiono in questi lavori più recenti, trovino importanti premesse anticipatrici nelle pagine scritte da P. Goodmann (sviluppate su appunti di Perls) a proposito dei capitoli riguardanti la Teoria del Sé sul testo teorico di base Gestalt Therapy: Excitement and Growth in Human Personality del 1951.
COSA SI INTENDE PER SELF O SÉ.
Il Sé, nella concezione della Gestalt, viene considerato innanzitutto come una funzione (non quindi un’istanza o un apparato psichico nel senso attribuito dalla Psicoanalisi all’Io o all’Es). Più in particolare è la funzione di adattamento creativo (F. Perls, F. Hefferline, P. Goodman, 1951, 433). L’adattamento creativo è il risultato di una complessa interazione tra un organismo ed un ambiente nel contatto reale che tra i due si stabilisce in un luogo ed in un tempo definito.
Il Sé quindi, come del resto ogni entità socio/biologica, non può considerarsi in astratto, come un qualcosa di determinato, fisso e atemporale, ma solo in relazione al campo, all’ambiente o sistema al quale appartiene o con il quale comunque interagisce in un dato momento in cui viene preso in considerazione.
A questa interazione viene anche dato il termine di contatto (Perls et al. ibid., 434). Il termine sottolinea un aspetto molto concreto, tangibile appunto di questa interazione. Sottolinea, in altri termini, un insieme di operazioni che si riferiscono sì a funzioni anche psichiche (si può avere un contatto visivo, emotivo, di pensiero), ma delle quali si vuole mettere prioritariamente in evidenza il fondamento organico, biologico.
“Chiamiamo sé (conservo il minuscolo nella traduzione dall’inglese) il complesso sistema di contatti necessario per l’adattamento in un campo difficile. Si può considerare che il sé si trovi sulla linea di demarcazione dell’organismo, ma la linea di demarcazione stessa non è isolata dall’ambiente; essa è in contatto con l’ambiente, appartiene ad entrambi, all’organismo e all’ambiente (Perls et al. ibid, 436). E ancora (Perls et al. ibid, 436):
“Nelle situazioni di contatto il sé è il potere che forma la gestalt del campo; o meglio, il sé è il processo della figura/sfondo nella situazione di contatto. Il senso di questo processo formativo, il rapporto dinamico fra figura e sfondo, è l’eccitazione: l’eccitazione è il sentire la formazione della figura/sfondo nelle situazioni di contatto, man mano che la situazione incompiuta tende a completarsi . In ultima istanza il Sé esiste laddove si verificano spostamenti nelle linee di demarcazione del contatto.”
La Gestalt, come concezione in generale oltre che come termine nel suo significato proprio, rappresenta un tutto inscindibile che supera appunto la sommatoria dei singoli elementi costitutivi.
Un altro elemento di difficoltà, nella possibilità di apprezzare questa sintesi, sta nella sua apparente ovvietà. Come soleva ribadire Perls: “Io non ho inventato niente, la Gestalt è sempre esistita”.
Ciò che in modo così ovvio si presenta alla nostra considerazione può apparire banale ed irrilevante, così familiare e coerente al vissuto della nostra esperienza quotidiana che quasi neppure ce ne rendiamo conto. Parafrasando Hofmannsthal
“La profondità va nascosta. Dove? alla superficie”.
.....continua