Giorgio Armani se n’è andato, lasciando un vuoto che non riguarda solo la moda ma l’immaginario di un’intera nazione. La sua parabola creativa e imprenditoriale ha coinciso con la rinascita italiana degli anni Ottanta, quando Milano si affermò come capitale mondiale dello stile e il nome Armani divenne sinonimo di eleganza, misura, modernità.
Armani e Francesco Alberoni avevano in comune non solo la città d’adozione, Milano, ma anche le radici piacentine e un carattere segnato da riservatezza e concretezza. Due figure parallele: lo stilista che con le sue giacche destrutturate e i suoi toni neutri ha inventato un nuovo linguaggio estetico, e il sociologo che, con i suoi studi sulle passioni collettive e sul divismo, ha saputo raccontare e spiegare la trasformazione di una società che usciva dagli anni di piombo per ritrovare fiducia.
Nei favolosi Ottanta, Armani e Alberoni furono protagonisti, ciascuno a modo suo, di quella stagione che passò alla storia come la “Milano da bere”. Da un lato, Armani cuciva i sogni di una generazione: Richard Gere in American Gigolo che diventa icona del nuovo uomo internazionale, le passerelle animate da Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Cindy Crawford, il minimalismo raffinato che dava voce al desiderio di leggerezza e potere delle donne. Dall’altro, Alberoni offriva la chiave per interpretare questi fenomeni: le passioni collettive, il bisogno di identificazione, la forza del divismo.
Entrambi restarono sempre ancorati a una linea di sobrietà tipica dei piacentini: Armani, pur diventando il più grande stilista italiano, mantenne la discrezione e la misura come segno distintivo della sua persona e della sua azienda; Alberoni, pur muovendosi tra università, giornali e tv, rimase un empirista, attento alla realtà concreta, lontano dalle mode intellettuali effimere.
Armani non dimenticò mai le origini. Durante la pandemia, quando la sua Piacenza fu tra le città più colpite dal Covid, donò due milioni di euro in aiuto alla comunità. Un gesto che racconta la sua idea di responsabilità e radicamento, lo stesso filo invisibile che univa la provincia alla metropoli, il mondo privato alle passerelle globali.
Oggi Milano lo piange, Piacenza lo ricorda come un figlio che ha portato nel mondo lo spirito della sua terra, e l’Italia tutta gli rende omaggio. Giorgio Armani lascia dietro di sé un’eredità che va oltre la moda: un modo di vivere e guardare il mondo, fatto di rigore, misura e bellezza.
Come scrisse Francesco Alberoni, “la moda non è un semplice ornamento: è il linguaggio con cui un’epoca dice se stessa. E ogni epoca ha i suoi profeti, capaci di incarnarla. Armani è stato uno di questi”.