Il maschio che uccide i figli della compagna

18 Febbraio 2019



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Un giovane di 24 anni ha picchiato il bambino della sua compagna sino a ucciderlo e ha ferito gravemente la sorellina. Si tratterebbe di una reazione eccessiva dell’uomo perché i bambini avevano rotto la sponda del lettino nuovo che con tanta difficoltà aveva comprato.
Un individuo che commette un delitto così tremendo ci scuote nel profondo, non ci appare umano. E, come vedremo, infatti ripete un comportamento che è stato cancellato da millenni di civiltà.

Si dice che la forza di un sistema si misura nel punto dell’anello più debole. A me colpisce questo maschio che uccide i figli (e soprattutto il figlio maschio) che la donna ha avuto con un altro uomo. I figli mettono sempre alla prova i genitori in un modo o nell’altro, figuriamoci quando non sono tuoi figli. Il nuovo compagno della donna che li ha avuti da un altro, per amarli ed accudirli deve avere molto equilibrio e molto amore per la sua donna. Per fortuna la società gli ha anche inculcato dei doveri verso i bambini. A volte soffriamo della mole di doveri e di proibizione che la nostra cultura ci impone, e spesso ci inibiscono, ma non dimentichiamo che essi sono alla base del vivere civile. Ricordiamo le grandi leggi del lontano passato, il codice di Hammurabi, i comandamenti della Bibbia, la legge delle Dodici Tavole scritte in bronzo dai romani. Leggi che i nostri antenati hanno dovuto accettare per essere ammessi nella vita sociale. Fra questi ci sono i doveri verso i figli, i consanguinei e con le grandi religioni anche verso gli schiavi.

Residui di comportamenti animali?

Se togliamo queste leggi scopriamo che, potenzialmente, in noi ci sono i residui di comportamenti animali. Pensiamo ai leoni: quando uno o più giovani maschi conquistano un gruppo di femmine, uccidono tutti i cuccioli. Le femmine non sono sessualmente ricettive sino a che hanno i cuccioli e occorrono due anni di cure materne perché abbiano un nuovo estro. Ma se i cuccioli muoiono le leonesse entrano subito in estro e il nuovo capobranco, fecondandole, si assicura la prosecuzione della sua linea genetica.
Ebbene, ci è voluto molto tempo e un profondo mutamento culturale perchè questo tipo di meccanismo scomparisse. Infatti lo ritroviamo nelle guerre antiche.

La guerra antica

Nella guerra di Troia, quando i Greci grazie al cavallo inventato da Ulisse sono riusciti a entrare in città con il loro esercito, hanno ucciso tutti i maschi adulti, tutti i bambini maschi ed hanno portato via le donne, soprattutto giovani. Possiamo leggerla come la tendenza a cancellare i maschi e prendersi le donne in cui mettere il proprio patrimonio genetico. Forse fu proprio questa la base della società patriarcale. Una delle scene più strazianti dell’Eneide è quella in cui Enea incontra Andromaca diventata moglie di Pirro, figlio Achille che, dopo il marito, gli ha ucciso il figlio Astianatte.
Dunque, nella guerra antica il conquistatore annienta geneticamente il gruppo precedente e mette il suo seme nelle femmine che da quel momento generano bambini con il patrimonio genetico dei conquistatori.
Il maschio che uccide i figli della compagna

Col progresso della società però, si sono formati legami di affetto, si sono formate delle società legate da vincoli di parentela, e soprattutto delle leggi morali in cui il vincitore non annienta più il seme del nemico.
Questo nuovo rispetto inizia a comparire nelle guerre tra le città greche, nell’impero Romano, nell’impero persiano. Man mano che diminuiscono le guerre scompare la tendenza a uccidere i bambini maschi.
Ci possono essere conflitti, ma inizia a prevalere una solidarietà di fondo. I legami sociali che uniscono diventano più forti. E quando arrivi a livello della famiglia si è costruita una trama di relazioni sociali che agiscono da deterrente.
In una guerra l’altro è un nemico e si riproducono comportamenti primitivi, ma dove ci sono legami sociali forti i figli non appartengono all’ultimo uomo arrivato: sono i figli di una donna che appartiene ad un clan, quindi sono figli del clan, della collettività e devono essere cresciuti, educati e difesi.

Nel matrimonio si incontrano un uomo e una donna che hanno entrambi dei genitori, dei fratelli cui sono legati, altri parenti. Ci sono dei legami emotivi di sangue, legami religiosi, legami che si avvertono essere sacri che tengono insieme il gruppo. Il nuovo uomo che si insedia nella casa di una femmina con dei bambini piccoli non è libero di ucciderli, perché gli altri glielo impediscono. La società umana è fatta di coppie ma intorno c’è, o almeno c’è stata sino a non molto tempo fa, la parentela e sopra il clan e sopra ancora la tribù e lo Stato con le sue leggi.

È ovvio a questo punto che il caso di Napoli viene qui preso come puro esempio di un ragionamento. Non possiamo certo liquidare quanto è accaduto come un caso di combattimento del rivale genetico, ma possiamo prenderlo come un segno di ciò che può accadere quando iniziano a incrinarsi i legami forti, quando scompare il forte potere coesivo del gruppo di parentela, quando il comandamento religioso si indebolisce, quando lo stesso stato è lacerato, diviso.

Nella maggior parte dei casi, oggi, non ci sono più fratelli, zii, parenti che circondano come un salvagente tutti i piccoli del gruppo. Chi protegge i bambini, li fa crescere? È la solidarietà sociale, l'amore, l’aiuto fra consanguinei e l’amore degli sposi.
In un posto in cui ci sono solo rapporti sessuali, l’ultimo che arriva vuol soltanto avere il corpo della donna, non ha un legame profondo con lei.
Diverso, per fortuna è quando c’e un vero innamoramento. Quando sei innamorato sei già in un legame di tipo sociale, e ami tutto ciò che ama la tua donna, perciò se ha dei figli ami anche loro. L’amore ingloba tutto. Secondo la nostra teoria la disgregazione dei legami forti della famiglia porta anche a sottovalutare lo straordinaria forza coesiva dell’innamoramento. L’indebolirsi dei legami forti, ridurre tutto al sesso o all’utile è un segno di crisi grave della società e si cura non solo con l'intervento dei carabinieri ma ridando valore agli affetti, all’amore, ai legami forti, al prendersi cura.

La società ha sviluppato, nel corso dei millenni, una morale universale. Non basta la legge, occorre l’interiorizzazione dei valori, di ciò che ci porta già emotivamente a distinguere tra bene e male.

Se va via il tuo uomo e resti sola con i tuoi figli, devi trovare un altro uomo che ti ami veramente e allora amerà anche i tuoi figli. È per fortuna quello che accade solitamente. Ma in una società che rompe i legami si creano situazioni di pericolo. Noi non possiamo più ricostruire la famiglia allargata, la comunità di villaggio, ma possiamo rivalutare l’affetto, la cura, il sentimento e il vero grande amore che ingloba il sesso.
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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (la nave di Teseo 2020), 1989-2019 Il rinnovamento del mondo (La nave di teseo, 2021)

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