Quale insegnamento possiamo ricavare confrontando due esperienze così diverse come la guerra e l’innamoramento?
Cominciamo da alcune corrispondenze. Anche la guerra è una passione, col batticuore, l’attesa, l’angoscia e l’entusiasmo. In guerra aumenta l’amore di patria, il senso di fratellanza al punto che ciascuno è pronto a dare la sua vita. La morte di uno dei nostri è come la morte di un nostro famigliare. Metà della guerra, perciò, appartiene al territorio dell’amore.
Coinvolto nella guerra, l’individuo viene assorbito dalla collettività. Il suo io si dilata in una entità più grande, che lo fa sentire invincibile ed annulla la paura della morte. Noi temiamo la morte quando siamo isolati, arretriamo con terrore davanti al pensiero impensabile di non esserci più. Fondendoci nella collettività, il nostro io perde di importanza. Nelle battaglie gli eserciti si fronteggiano impavidi fino al momento in cui una parte cede. Allora la forza data dal cemento dell'identificazione collettiva scompare e gli sconfitti - tornati individui isolati - fuggono in preda al panico abbandonando le armi.
Anche l’innamoramento è una passione totale che assorbe ogni nostro pensiero. La persona amata diventa più importante di noi stessi e noi ci fondiamo con essa. Nasce così una collettività superiore ai singoli individui isolati, la coppia, ed essi trovano pace solo in essa. Anche nell’innamoramento scompare la paura della morte. Anche nell’ innamoramento proviamo terrore e disperazione solo quando ci sentiamo abbandonati dall’altro, soli.
Qual è, allora, la differenza fra i due processi ?
Beh, qualcuno dirà, la guerra riguarda grandi collettività e l’innamoramento due soli individui. Ma vi sono anche guerricciole e faide fra due sole famiglie. Il punto da esaminare è un altro. Nella guerra la solidarietà, l’amore per i tuoi, dipende dall'esistenza di un nemico. Scomparso il nemico, scompare l’amore. Freud ci ha spiegato perché accade.
Noi, egli ci dice, siamo ambivalenti, proviamo rancori, invidie, risentimenti, anche verso i nostri amici, i genitori, i fratelli, il marito o la moglie. Solo nella guerra l’ambivalenza scompare perché mettiamo tutto il bene, la solidarietà, l’amore, la giustizia nei “nostri" e proiettiamo tutto il male, tutta l’ingiustizia, sul nemico. Da una parte solo luce, dall’altra le tenebre.
I sociologi hanno applicato questo modello a tutte le formazioni sociali e sostengono che la collettività resta unita e la fratellanza sociale dura, soltanto finché c’è un nemico. Scomparso questo, svanisce.
L’innamoramento è importante perché ci dà la prova che questa teoria non è vera. Ci dimostra che può formarsi una comunità duratura, in cui ciascuno si dona all’altro, senza bisogno che ci sia un nemico. L’innamoramento è il più piccolo movimento che genera solidarietà, amore, altruismo, per pure forze interne.
Fenomeno che accade anche nei movimenti religiosi, soprattutto cristiani, in cui ci si converte senza che esista un nemico e si sta insieme e ci si prodiga con generosità per gli altri. Ma l’innamoramento è quello che possiamo sperimentare tutti, atei e credenti, e da cui nasce la coppia, la famiglia. Esso dimostra che possiamo liberarci dalla dannazione del conflitto e dell’odio.