Cadavre exquis lo chiamerebbero i surrealisti

11 Giugno 2022



Cadavre exquis lo chiamerebbero i surrealisti
cadavre exquis

Cadavre exquis lo chiamerebbero i surrealisti

Si muove da te a me, senza un ordine preciso, senza alcuna premeditazione.
È come se tu avessi fissato un punto e io, pur ignorandone la forma, riuscissi a convertire questo soliloquio in un dialogo.
Non te lo so descrivere pienamente, perché qualcosa mi sfugge, non riesco a controllarne il flusso. È immateriale, eppure lo avverto qui nella mia stanza.
Non è la ragione a guidarmi, ma nemmeno la sintesi di una morale, figuriamoci l’estetica, o la grazia di un rimpianto. Mi manchi ma è come se tu fossi qui.

Qualcosa di te, se non proprio tu, è qui.

Mi arrivano immagini e le collego a parole sincopate. È una totale sconnessione dalla realtà.

Ti ricordi quando facevamo il bucato con mamma? Nella casa in campagna.
Lei stendeva su quel lungo filo che sembrava interminabile. Dava un significato al colore di ogni indumento.
"Giallo mamma?".
"Il sole".
"Arancione?"
"Il vecchio mangiadischi".
“E il bianco mamma?”.
“L’assoluto. Il gioco della mente. La purezza e il confine vitale. L’anima e la Luce. Ci puoi vedere il tutto o il niente ma non è mai assenza. Nel niente, c’è sempre qualcosa. Guarda qui”.
E avvicinandosi a una tua maglietta bianca, di quelle da casa un po’ sdrucite, ci puntava dentro gli occhi e mi osservava come da dietro a una maschera.
Capivo un decimo di quello che mi diceva, ma sapevo che dovevo ascoltarla, assorbirla perché lei si sarebbe spaziata dentro di me come il profumo del bucato su per la collina.

Oggi innumerabili immagini casuali, come quelle appese ai fili di mamma, mi si perpetuano davanti. A volte sono troppo veloci perché io riesca a catturarle e a qualificarle nella mia immaginazione.
È qualcosa che mi resta imbrigliato nella psiche e non riesco a buttarle fuori.
Non del tutto, almeno.
So che mi senti. Non so come. Ma anche io ti sento. Resisti papà.
Ti vedo.
Ti vedo quando sbuffi adirato per questa maledizione in cui siamo sprofondati. Ti vedo quando ti butti molle sul divano.
Sento la coralità del nostro grido. Stiamo collaborando per la nostra salvezza, per il solo fatto che ci vogliamo bene.

Della bussola teniamo in mano solo un ago

Senza più né un asse, né pesi sulla punta, ci può servire solo a pungerci per capire se almeno il sangue è ancora il nostro.

“Rosso mamma?”.
E lei mi insegnò il rosso.
“Rosso, l’impareggiabile. O ce l’hai o non puoi inventarlo, riprodurlo. È l’inarrivabile. Come il sangue o l’amore”.

Ho bisogno di uscire da questa claustrofobia.
A te non pare tutta una follia?
Mamma mi ha inculcato l’idea di libertà, libertà dalle convenzioni, dalle gabbie mentali, dalle sovrastrutture arcaiche. In questo abbraccio tra non distinguibile e realtà riesco a portarmi lontano dal mio tormento, in un oltrereale onirico.
Come stai? Cosa fai? Come vivi, papà?
E mentre me lo chiedo su quel filo interminabile le immagini, per niente correlate tra loro, creano una bizzarra inusitata armonia.

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Luisella Pescatori

È direttore artistico e della didattica di Atelier la sua agenzia letteraria di Milano. Si occupa di editoria, di comunicazione e di rappresentanza di autori. Professionalmente si forma in Teatro, recitando in diverse compagnie di giro, in spot pubblicitari, in produzioni cine-televisive. Il Teatro è oggi uno dei plus delle sue docenze, esclusivamente individuali, di scrittura creativa. Ha lavorato per diversi anni in un’importante web agency milanese. È coautrice de “La profezia delle triglie” testo adottato come materia di studio al corso “Sociologia della devianza” Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Università della Calabria. Scrive su Huffpost.

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