Il pianto di Quasimodo

21 Aprile 2019



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Tra i tarocchi francesi del Medio Evo c’è un’immagine che inquieta più delle altre: è la Torre, che nella versione d’oltralpe porta il nome di “Maison de Dieu”. Il tetto della Torre sta crollando, a dividerlo dal resto della costruzione è il fuoco. Il pinnacolo è rappresentato nell’atto di crollare. Il numero XVI, associato alla carta, ne riflette la simbologia nefasta di crollo e distruzione.

Questa immagine mi si è incollata nella mente a quella che ho visto, come tutti, nelle immagini fotografiche e televisive, dell’incendio di Notre Dame. Un sentimento di sgomento che andava al di là del dolore per un capolavoro rovinato, quasi distrutto.  Si intrecciavano tra motivi di sofferenza diversi, che si intuivano dai volti dei parigini che accorrevano in massa davanti alla chiesa, dall’impressione fortissima che questo episodio ha suscitato in Occidente.

È come se questo monumento, antico di secoli, avesse materializzato tutte le nostre paure, nascoste dal consumismo e da una narrazione eufemistica della realtà. Di noi Europei, di noi Occidentali e di quelli che condividono i nostri valori, e, per chi ci crede, di noi Cristiani. Una grande opera è la sintesi di tante vite e per questo la sua perdita è un lutto fortissimo.

Non è stato un atto terroristico. Non c’è stata l’indignazione dell’undici settembre, non c’è stavolta un nemico a cui addossare la responsabilità. È stato un disastro colposo. Forse una scintilla durante i lavori di ristrutturazione, una disattenzione, una sottovalutazione di un rischio, un errore umano.

Quindi, simbolicamente, è stato un atto di autolesionismo, di tentato suicidio. Notre Dame è la Francia, paese che è diventato nazione sotto un re cristiano, ma anche paese dei Lumi, simbolo di laicità, paese di rivoluzioni e restaurazioni, cuore dell’Europa. Notre Dame è gotica bellezza, austerità e ricercatezza, Notre Dame è il bellissimo romanzo di Victor Hugo. In questi giorni, negli scambi di whatsapp, una delle condivisioni più diffuse era il pdf dell’intero libro con i personaggi immortali di Quasimodo ed Esmeralda. Una delle campane di Quasimodo si è fusa per il fuoco, non tornerà mai più.

Neanche l’Europa tornerà più quella di prima, con il suo antico primato culturale, economico e politico. Si è già quasi suicidata due volte, nelle due guerre mondiali. Ora sta tentando di suicidarsi per la terza volta.

Con la sua unione che è ben lontana dalla solidità del Sacro Romano Impero, puzzle mal incastrato di nazioni che sotto sotto se ne vorrebbero andare preda dei loro interessi nazionali, costrette tuttavia a stare insieme da interessi economici, dai quali nemmeno il Regno Unito con la Brexit è riuscito ancora a sganciarsi.

Senza un esercito, condizione indispensabile per avere un’autonomia decisionale, politica e anche economica non dipendente dagli USA o, chissà, in futuro anche dalla Cina.

Senza un governo federale che preservi le particolarità ma che prenda posizioni chiare, per negoziare alla pari con il resto del mondo, sempre più agguerrito. Senza un futuro certo.

Così noi Occidentali, mentre gli estremisti islamici festeggiano i fuochi di Parigi come uno spettacolo pirotecnico, ci sentiamo crollare assieme al tetto della Cattedrale, sapendo che forse non nascerà più un Hugo per cantarla, un Napoleone per farsi incoronare. Scoprendo – è solo quando si mette in atto il meccanismo della perdita, come sostiene Alberoni, che aumenta l’attaccamento per persone e cose – che è importante preservare la cultura, la storia, la memoria di un popolo, perché un albero che vuole fiorire nel futuro ha bisogno di solide radici per non crollare nel frattempo.

“Bisogna ricostruirla come prima” ha dichiarato Renzo Piano, che è uno dei geni dell’architettura moderna”, creatore di costruzioni avvenieristiche, di certo poco legato al passato. Proprio lui non vuole cambiarla. Segno di rispetto? Per alcuni anche segno di immobilismo culturale, perché nella storia di Notre Dame ogni epoca ha apportato cambiamenti alla struttura, come testimonianza delle sue architetture.

Forse perché in cuor suo, in cuor nostro, sa, sappiamo che l’arte dei nostri tempi è in decadenza e potrebbe imbruttire un capolavoro?

Nel frattempo il Teatro La Fenice, che – in nomen omen – con il suo esempio di veloce resurrezione dalle ceneri è portato ad esempio dai  francesi, che subito hanno mobilitato forze e sottoscrizioni per ricostruire, subito.

Come un tarocco vivente il crollo di Notre Dame ci ammonisce a non distruggere quanto costruito faticosamente nei secoli: per esempio i valori di uguaglianza, libertà e fratellanza, minacciati dall’interno e dall’esterno dell’Europa e dell’Occidente.  Forse non è ancora troppo tardi. Forse l’Europa si salverà dal terzo tentativo di suicidio.

Il metallo della campana perduta sarà fusa in un altro stampo e forse Quasimodo tornerà a suonare.

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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