La Belle Époque… e la Brutt’Époque

26 Aprile 2023



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A partire da oggi e per dodici mercoledì il magazine pubblicherà a puntate il saggio di Giusy Cafari Panico "La Brutt'Époque" che, partendo dal confronto con la Belle Époque descrive alcuni aspetti della società contemporanea occidentale.

Il filosofo e matematico Leibniz (1648 – 1716) sosteneva che "viviamo nel migliore dei mondi possibili".

Anche nella nostra epoca, soprattutto alla luce delle scoperte scientifiche e dei miglioramenti in fatto di diritti umani, c’è una corrente di pensiero che sostiene la stessa tesi, paragonando il mondo di oggi al mondo di ieri.

Questa idea nasce dal presupposto che ci sia una linea di progresso ascendente, che partendo dal primitivismo dei nostri progenitori, considerato in senso negativo, arrivi a un’indefinita età aurea di perfezione del genere umano, raggiungibile in questa vita terrena e non in Paradiso. In realtà il progresso dell’uomo è una strada accidentata che attraversa momenti felici e momenti di regressione, talvolta anche lunghi. Un andamento sinusoidale, fatto di alti e bassi. Voltaire, come sappiamo, criticò Leibniz e la sua ottimistica teoria nel “Candide”.  E anche noi pensiamo che questo periodo sia ben lungi dall’essere il migliore della storia dell’uomo.

Ma in base a quali elementi si può argomentare questa considerazione? L’arte, a mio avviso, è uno degli indicatori più fini e profondi di una civiltà: la bellezza rimane nel tempo, e parla più di un libro di storia.

Chiediamoci, quindi, nella nostra epoca, in questi primi anni venti del ventunesimo secolo, quanta bellezza stiamo creando. Secondo la sottoscritta poca, perlomeno se usiamo come paragone altri momenti storici.

La nostra attenzione va in particolare a quel preciso periodo in cui la consapevolezza di vivere un’età d’oro ha fatto sì che le venisse attribuito un nome apposito, iconico, potente. La Belle Époque.  Un’epoca bella, come nessuno prima ebbe l’ardire di chiamare un’epoca.

Si tratta dell’intervallo di tempo intercorso tra gli anni ottanta del XIX secolo e l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Circa trent’anni, ovvero pochi, ma molto intensi e che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia della Bellezza, se ne esistesse una.

Parigi era la capitale della Belle Époque. Città elegantissima, sospesa tra antico e moderno, ospitava una sotto cittadella di grandi artisti, di ogni musa. Primi tra tutti i pittori, impressionisti e non, quali Renoir, Monet, Cezanne, Manet, Toulouse Lautrec, Matisse e tantissimi altri, che riscrissero l’alfabeto della pittura e inondarono di colore tutto il mondo.  La capitale francese riuscì a trasformare persino un ammasso di ferraglia, simbolo di progresso e modernità, in un monumento iconico e amato come la Tour Eiffel. Per le altre architetture dell’epoca ci fu invece una cura straordinaria e una corsa all’abbellimento di qualunque spigolo, balcone, o elemento murale, nel trionfo del liberty con le sue variazioni floreali e la flessuosità delle forme.

La parola d’ordine era abbellire. E così accadde, in tutta Europa.

La borghesia, uscita trionfatrice dalle battaglie per il potere dei secoli precedenti, utilizzava le sue risorse economiche per nobilitare le proprie abitazioni ma anche i luoghi pubblici.

La moda femminile abbandonò l’austerità degli anni precedenti e si espresse con colori chiari e con accessori vezzosi. Il simbolo del periodo fu l’ombrellino di pizzo per non prendere troppo sole, immortalato anche da Monet in un celebre dipinto.

La poesia, anch’essa, esprime nuovi maestri. Nel 1880 Baudelaire scrive il manifesto del Simbolismo e arriva la corrente del Decadentismo, che arriva fino a noi con l’esteta e vate D’Annunzio, che proprio durante la Belle Époque, elabora la sua ricerca di bellezza e di gioia dei sensi.

La colonna sonora di questa stagione scoppiettante e festosa è anch’essa di eccezione. Sono i walzer della famiglia Strauss, magnifici cantori dell’Impero Austro Ungarico e dei suoi regnanti da fiaba, prima tra tutti la celebre Sissi, che trascinano in un vortice di danze tutta l’Europa. Ma ci sono anche Mahler, Debussy, Puccini, Mascagni e uno Strauss diverso, Richard, a “sentire” le inquietudini che ribollono sotto la superficie.

Gli immensi scrittori Proust, Joyce e Mann, in bilico tra due mondi, e sul ciglio della Grande Guerra mondiale, iniziarono la stesura dei loro inquieti capolavori proprio in quegli anni.

L’Europa era il centro del mondo. E non poteva essere altrimenti.  Gli abitanti del nostro pianeta, all’epoca, erano circa un miliardo e mezzo, gli europei mezzo miliardo. L’impero austro ungarico era ancora potentissimo, nonostante alcuni scricchiolii, l’Inghilterra era al massimo del suo impero coloniale, la Germania aveva battuto la Francia nella battaglia di Sedan del 1870. Da quel momento non c’è stata nessuna guerra rilevante a devastare il vecchio continente. Fino alla Prima Guerra Mondiale, apparsa come un fulmine dalle coscienze infiammate dei giovani, dimentichi degli orrori delle guerre precedenti, a devastare un’età dell’oro fuggente e indimenticabile.

Il tracollo fu improvviso, devastante. Dalla caduta di una tessera di domino si propagò la rovina di tutto il meraviglioso complesso di meraviglie che era stata l’Europa.

In definitiva, quello della Belle Époque fu l’ultimo e accecante bagliore della stella dell’Europa, nata dalle ceneri dell’Impero Romano.

Il suo canto del cigno, magnifico e tragico.

( puntata 1 di 12)

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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