Una delle espressioni francesi più accattivanti è “Joie de vivre”. Un po’ per onomatopea, un po’ perché rende l’idea di una condizione di felicità non statica, ma frizzante, continua nel tempo. Un brio con cui affrontare sempre nuove sfide senza paure, con ottimismo.
La Bell’epoque straripava di joie de vivre, nei suoi bistrot, nelle sue tele colorate e floreali, nel can can. La Brutt’époque ha dimenticato la gioia di vivere. Basta aggirarsi per le strade e osservare le facce della gente. O leggere le statistiche sul consumo di psicofarmaci in Occidente. O ascoltare le canzoni lamentose degli anni dieci del nostro millennio e paragonarle a quelle degli anni sessanta.
La pulsione più forte di questi anni non è di certo la vita, ma la morte Una delle battaglie più combattute degli ultimi anni è il diritto all’eutanasia. Sempre più parlamenti legiferano a favore dell’autodeterminazione alla morte.
Se questo è pressoché insindacabile quando si tratta di evitare un lancinante dolore fisico e l’assoluta mancanza di autonomia dovuta a malattie irreversibili, non è lo stesso quando si parla invece di fare seguito al desiderio di morte di chi è affetto da grave depressione o semplicemente decida di essere annoiato dalla vita. In certi paesi del Nord Europa è già possibile. Si afferma sempre di più il Diritto di morire. Sono nate ovunque Associazioni che aiutano a morire le persone che hanno difficoltà a suicidarsi autonomamente. Si organizzano tour esteri dove organizzare la dipartita, accompagnati da attivisti.
Lo Stato, ogni Stato, dovrebbe quindi aiutare gli aspiranti suicidi con mezzi più o meno anestetizzati e rapidi per lasciare questa vita. La rapidità e l’apparente asseticità dell’operazione invoglia sempre più persone, non solo malate ma anche solo insofferenti alla vita, tra cui diversi anziani. Un caso per tutti è Alain Delon. Il bellissimo attore francese da anni sostiene che la vita gli è diventata quasi insopportabile, la vecchiaia lo intristisce, i tempi moderni sono per lui volgari e decadenti (e su questo siamo tutti d’accordo), tanto vale organizzare un rituale di dipartita. Altro che joie de vivre! Gioia di morire, piuttosto.
Una ragazzina nord europea ha ottenuto di poter morire perché affetta da un mal di vivere atroce. Da una depressione definita incurabile e insopportabile.
Ma perché rinunciare alla speranza di un miglioramento? Perché gettare la spugna? Perché uno stato liquida così i deboli di animo?
Solo una vita gaia e piena di salute sono da considerarsi degne di vita. La stessa pulsione di morte si trova nelle politiche filoabortiste. I ginecologi obiettori di coscienza sono malvisti, e così le organizzazioni che operano per assistere psicologicamente le mancate madri affinché prendano in considerazione la possibilità di portare avanti le loro gravidanze. Negli USA aumentano gli stati in cui si può interrompere la gravidanza ben oltre i novanta giorni originari. In alcuni si comincia a parlare di aborto post natale, ovvero la possibilità di eliminare bambini appena nati, in quanto nel periodo perinatale la coscienza dell’essere umano sarebbe limitata.
E' più facile distruggere. Cancellare. Che amare la vita. Che esprimere la joie de vivre.
Il “cupio dissolvi” è sempre stato forte, ma mai così tanto come oggi.