Quando ci si trova di fronte a situazioni nuove, gravi che richiedono dei cambiamenti profondi e anche molto veloci, è indispensabile porsi buone domande. In questi momenti non conosciamo il futuro, ma possiamo intravvedere le linee di tendenza e avvertire i possibili pericoli. Un rischio reale oggi è che un paese come l’Italia, ricco di inventiva, che crea degli straordinari prodotti, perda il controllo sulla distribuzione.
Dunque una buona domanda è: possiamo fare qualcosa per avere il controllo della nostra distribuzione?
Molti, chiusi nelle loro case, soprattutto coloro che per ben due volte hanno dovuto abbassare le saracinesche dei loro negozi, si tormentano perché non riescono a raggiungere i loro clienti. O perché avrebbero un business su cui puntare alla ripresa, ma non sanno come fare, sono paralizzati.
Si rendono conto che i consumi non sono solo sospesi, ma stanno cambiando: si stanno spostando altrove, online. Il fermo obbligato non fa che accelerare un processo che stava avvenendo già, ma che ora si è fatto rapidissimo.
E il fenomeno ormai non riguarda più solo un élite. A ordinare i loro prodotti su internet, hanno imparato tutti: il settantenne che sino a ieri non aveva un computer o la famiglia che andava al centro commerciale. Comprando su internet si sono accorti che vi sono delle comodità e delle facilitazioni che non avevano mai avuto e non si sognavano neppure.
Gli acquisti non si limitano a certi prodotti selezionati e non richiedono grandi quantità. Puoi comprare un chilo di pomodori, una bicicletta, una crema, un telefono, un paio di scarpe, vedere un film appena “uscito” nelle sale. E le scarpe puoi provarle comodamente a casa tua. Se poi ti renderai conto che non erano come volevi tu, mandano qualcuno a casa a ritirare il pacco e ti ridanno i soldi.
È il negozio TOTALE
Un servizio così lo possono offrire solo i più grandi operatori. Infatti questo mercato globale di internet che era nato per aumentare la concorrenza, non è alla pari. Vi sono monopoli come Amazon che sanno unire la estrema quantità e qualità dell’offerta a un impeccabile servizio.
Molti italiani, in questo periodo, vorrebbero aiutare il Paese acquistando da un negoziante o da un produttore italiano. Ma non è facile trovarlo. Magari si è attrezzato con il suo sito web, con grande difficoltà, ma devi andare a cercare quello che vuoi, trovare il suo sito, capire come fare gli ordini, quali regole applica, registrarti per pagare. Non ti senti sicuro sino in fondo. E se vuoi vedere un altro prodotto devi ripartire da capo. E tu sei abituato con Amazon che con un click non hai un solo prodotto, ma tutti. È difficile resistere.
Era il sogno di tutti i bambini che, dopo Natale, Gesù bambino venisse a riprendersi i regali non graditi e a sostituirli con quelli che avevano sognato.
Per questo l'Italia deve costruire le proprie piattaforme digitali.
Capire che stiamo perdendo la distribuzione in tutti i campi, ma anche dei nostri prodotti, è importantissimo per mettere in campo velocemente delle strategie a difesa del commercio italiano.
Ma invece e anche inspiegabilmente fino a questo momento abbiamo visto che le scelte si sono orientate come se il mondo fosse rimasto a trent’anni fa, come se si trattasse solo di far passare questo brutto momento.
Non ci servono indagini di mercato, basta osservare quello che facciamo nella nostra vita quotidiana.
Restando in casa durante la chiusura di marzo abbiamo interagito con gli altri su Facebook, Instagram, abbiamo partecipato a call su Zoom. Abbiamo acquistato online prodotti alimentari, prodotti per la casa, di bellezza, attrezzi ginnici per tenerci in forma, piante e sementi per sentirci in rapporto con la natura.
Sappiamo tutti che la concorrenza al negoziante è mortale. Sappiamo tutti che ogni volta che con un click perfezioniamo una vendita, chiude un libraio, un negozio di casalinghi, uno di scarpe. Eppure continuiamo. Fingiamo che il nostro acquisto sia solo il nostro acquisto. Perchè una volta acquisite delle abitudini, si mantengono. Non possiamo contare sull'etica del singolo quando il mondo va da un'altra parte.
Che fare? Non potremmo per una volta copiare?
I cinesi, che sono i più grandi copiatori al mondo, anche in questo campo sono davanti a noi: hanno realizzato un proprio motore di ricerca copiandolo da Google, attivato i loro social, i loro sistemi di messaggistica. Il loro colosso di vendite online, che ha sbaragliato Amazon, ora punta direttamente a noi: si chiama Alibaba. È stato fondato da Jack Ma a Hangzhou nel 1999, studiando attentamente il modello di Amazon. Le fortune di Alibaba sono due.
La prima, la sinergia con Taobao, un mercato digitale con tante icone bancarelle. L’idea era semplice. Cliccando sulla bancarella l’acquirente poteva parlare direttamente con il negoziante via chat tramite un sistema gratuito per entrambi. Taobao e Alibaba si sono sposati e completati a vicenda e si sono appoggiati a uno strumento di pagamento digitale.
La seconda “fortuna” e il secondo motivo per cui dovremmo copiare è che loro lo hanno già sperimentato durante l’epidemia di SARS. Nel 2005, quando il commercio online era poco più di un tentativo, milioni di cinesi costretti in casa, che non erano abituati a comprare online, iniziarono a comprare e fecero la fortuna di Alibaba.
E noi? Quanto a lungo dovrà passare perché il made in Italy abbia una sua infrastruttura digitale?
Il problema è anche un altro.
Mentre i nostri concorrenti usano la tecnologia con disinvoltura e non si sognano di sostituire il contatto personale, in Italia Internet non è stato pensato tanto per il nuovo che portava, ma soprattutto è apparso un buon metodo per sostituire l’interazione umana.
È un errore che non fanno i nostri cugini americani o asiatici. Tu puoi sempre telefonare ad Amazon e troverai una persona che risponde tempestivamente e ti aiuta. Non ha bisogno di recitare lunghe litanie sulla privacy, facendoti aspettare ore, ti aiuta anche se la domanda eccede il suo ambito. Se la difficoltà è dovuta al fatto che non sai usare la rete o non sai capire le istruzioni.
Hanno ben chiaro che la finalità è soddisfare la richiesta del cliente e che una procedura, anche la più raffinata, si può incastrare su un particolare, un errore del sistema o una minima incomprensione col cliente. A loro non interessa di chi è la colpa. Hanno come fine la vendita e la soddisfazione del cliente.
Questi grandi monopoli richiedono infrastrutture molto potenti, grandi investimenti: non sono fioriti nel deserto. Sono stati sostenuti dai loro Paesi.
Bisogna che si crei un consorzio per fare una piattaforma per il made in Italy, fatto da aziende private, con l’intervento delle banche, ispirandosi agli anni del dopoguerra quando si fecero nascere la siderurgia e la chimica che riuscirono a rompere un monopolio. Questa piattaforma dovrebbe agire in tutto il mondo e stabilire un rapporto diretto ottimale tra il produttore e il consumatore, come nelle bancarelle di Taobao.
Una forte indicazione in questa direzione è stata data da Pietro Sella amministratore delegato e direttore generale di Banca Sella Holding nel giugno 2020, invitato a presentare la sua proposta per rilanciare l’economia all’Associazione per lo progresso del paese, fondata da Alfredo Ambrosetti.
Tra le altre proposte ha sottolineato l’importanza di realizzare le infrastrutture tecnologiche che mettono in connessione produttori e consumatori. Per Sella l’Italia dovrebbe impegnarsi a costruire le sue piattaforme digitali, non solo qualche isolato esempio. Sella ha sottolineato anche che servono regolamenti chiari ma snelli che sul web fanno la differenza assai più che nelle altre forme di business.