Che cos’e lo sconforto?
Un momento di debolezza, di sfiducia in noi stessi, nella nostra capacità di riuscire, la constatazione che gli ostacoli sono insuperabili. A volte si presenta come improvviso stato depressivo, a volte come mancanza di voglia, apatia, disinteresse. I sintomi dello sconforto sono moltissimi ma qui mi interessa mettere in evidenza che lo sconforto è una tentazione.
Ogni giorno noi affrontiamo problemi nuovi, ogni giorno programmiamo pazientemente cosa dobbiamo fare, come dobbiamo comportarci con gli altri e spesso i nostri sforzi non riescono, dobbiamo ricominciare da capo. E ci prende allora una strana stanchezza che non è affaticamento fisico, ma mentale. Come se la nostra testa fosse sovraccarica di delusioni, di problemi da risolvere. Ed ecco allora un senso di profonda inutilità ed il bisogno di far cessare questa fatica, di vuotarci il cervello, di non combattere più, di arrenderci. La resa è un sollievo.
Perché i soldati si arrendono?
Molti rispondono che lo fanno per salvarsi la vita quando non c’è più speranza. Non è solo per questo, perché si arrendono anche quando sanno che verranno uccisi tutti. Essi si arrendono perché non vogliono più lottare, vogliono la pace. La resa, diceva Paul Kesckemeti, è un servizio che il vinto rende al vincitore.
Lo sconforto è un desiderio di pace ottenuta a qualsiasi costo, è un inchinarsi, un porgere la testa al boia. Un momentaneo accettare la morte come soluzione di tutti i problemi e di tutti gli affanni. Può perciò essere un come un riposo, un breve sonno della vigilanza e della volontà, ma se continua mentre i problemi restano e le difficoltà ci opprimono, aggrava la nostra situazione.
Sì, lo sconforto può essere una seduzione pericolosa, perché ci spinge alla rinuncia, ci lascia disarmati di fronte alle avversità. Se i nostri nemici ci incalzano, guai se abbassiamo la guardia! Nelle battaglie antiche la strage avveniva quando uno degli eserciti incominciava a cedere. I soldati, presi dal panico, si mettevano a scappare, gettando via le armi, gli scudi, cercavano di salvarsi individualmente. Era in quel momento che il nemico li inseguiva e li sterminava. Per questo il grande teorico della strategia militare, Carl von Clausewitz, sostiene che la ritirata deve essere condotta in modo perfettamente ordinato, con continue controffensive.
Come fa il leone che si ritira azzannando.