Mistero e ragione

23 Giugno 2025



Statua di angelo alato con arco

J.P. Sartre scriveva (“L'essere e il nulla”, 1943):

“Ogni realtà umana è una passione, in quanto progetta di perdersi per fondare l'essere e per costituire contemporaneamente l'in-sé che sfugge alla contingenza essendo il proprio fondamento, l'Ens causa sui, che le religioni chiamano Dio. Così la passione dell'uomo è l'inverso di quella di Cristo, perché l'uomo si perde in quanto uomo perché Dio nasca. Ma l'idea di Dio è contraddittoria e ci perdiamo inutilmente; l'uomo è una passione inutile.”

Dall'Illuminismo, in particolare, l'Occidente loda e costruisce le società che lo contraddistinguono, riferendosi alla Ragione.

In nessun caso, metterei in dubbio tutti i progressi che essa permise di concretizzare.

La domanda che mi faccio, poiché citavo Sartre, è di provare a cogliere come, esistenzialmente, la medesima ragione fornisce o meno una possibilità di delucidare quel che viene abitualmente chiamato “il mistero della vita”.

L'evoluzionismo diede varie risposte, rispetto all'apparizione degli esseri umani sulla terra, ma nulla a dire il vero, che potesse chiarire la condizione peculiare dell'individuo.

Appena la nostra coscienza ci conduce alla domanda più banale: “Chi sono e cosa ci faccio qui in questo preciso momento?”, la ragione non dà più la minima risposta.  

E se i nostri interrogativi si allargano alla famiglia, al luogo di nascita, al genere, e via dicendo, l'incertezza aumenta ancora.

Al riguardo, i monoteismi, la Genesi in particolare, rimandano al Creatore, al caos originale. Senza gioco di parole, possiamo ritenere che l'odierna ragione ci porta al caos esistenziale.

Ciò significa che per l'individuo, la ragione è soltanto uno strumento atto a definire veri intenti e migliorare le azioni svolte, senza pertanto giustificarle.

È così vero che, in nome della ragione, negli ultimi due secoli e mezzo, molte società umane sono sprofondate nell'orrore.

In quanto individuo, dall'albero genealogico alla convinzione di appartenere a un ceto socioculturale ereditato dagli avi, nulla lascia intendere il senso della vita; rimane quindi a ciascuno di noi ricercarlo e definirlo, nel quadro dell'epoca, del territorio, dell'ambiente in cui si vive, delle attività svolte.

Così facendo, testa e cuore si completano o si oppongono, e molte altre dualità emergono o, invece, si soffocano, specificamente sul piano umano, femmine e maschi, giovani e vecchi, e socialmente, ricchi e poveri, intellettuali e manovali, colti e illetterati, per fare solo alcuni esempi, ai quali nel campo simbolico, vorrei aggiungere, mortali e immortali, presenti e fantasmi, persone e personaggi.

In un articolo precedente (“Il dialogo perduto”) citavo Ida Magli (“La femmina dell'uomo”):

«Il dialogo fra l'uomo e la donna è perduto per sempre secondo Lévi-Strauss, ma forse sarebbe più corretto dire che questo dialogo, non vi è mai stato; l'uomo ha parlato solo con se stesso, nella foresta di segni che ha creato, e da questa solitudine ha tratto il senso della sua esistenza».  

Oltre a un problema di potere e di comunicazione, l'approccio della Magli rinvia alla parola, alla solitudine dell'individuo e alla sua integrazione in un concetto di gruppo, e alle istituzioni. 

Laddove i monoteismi assimilano “mistero della vita” e “mistero della fede”, il senso riferito al Creatore diventa nell'epoca odierna, la libera scelta che la ragione concede o concederebbe ad ognuno di noi.

Eppure, nell'opposizione tra testa e cuore (non si tratta più di possibile complementarità) la scienza odierna, e le scienze sociali in particolare, promettono di delucidare prima o poi nel quadro di un'evoluzione sociale globalizzata, il “mistero”, che viene in tal modo trascurato.

Nulla di strano, se non che tale trascuratezza ben lungi dal rivelarlo, ne soffoca la natura dinamica.

La ragione non n’è la causa di per sé, ma l'uso che se ne fa.

Come immaginare solo per un attimo un senso della vita che non rimandi proprio al mistero?

In primo luogo, rifacendosi al “mistero dell'amore”, inteso non come concatenamento di fenomeni osservati e analizzati, ma insieme più o meno afferrabile di forze travolgenti e incontrollabili, e in quanto tali, risultano superiori.

Appellandosi alla ragione, si potrà sempre affermare che simili forze non hanno per sede il cuore introdurre cervello e organi di senso, conscio e inconscio, nell'argomentazione, per dare una spiegazione conforme a una risposta che soddisfi le aspettative; questo non toglie però, citando Blaise Pascal (“Pensieri”, 1660):

“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce affatto”,

che proprio le ragioni del cuore, ignorano i limiti che vengono suggeriti e imposti dalla sacrosanta ragione, elevata a “parola di Dio” dalla mitizzazione che si fa, appunto, delle facoltà intellettuali.

In che modo l'amore (e di conseguenza l'odio per rimanere nella dinamica dei contrari) riesce a sconvolgere il mondo senza nemmeno che lo stesso mondo timoroso e in certi periodi sprezzante nei suoi riguardi, a meno che si rivolga esclusivamente come con Agostino (“Confessioni”, 387), ai cieli, se non, appunto, perché sfugge alla ragione?

Va notato quanto tutti i regimi rigidi, con argomenti vari, dal confinamento della donna nel ruolo di madre e di angelo del focolare alla condanna della vita privata, (ricordiamo il personaggio di Strelnikov, studente contestatario diventato notabile del sistema nel film di David Lean, (1965), “Il dottor Živago” tratto dal romanzo di Boris Pasternak, (1957), e della sua severissima asserzione): 

“La vita privata è morta in Russia. La storia l'ha ammazzata!”,

si accaniscano a istituzionalizzare o ridurre l'amore, o perlomeno i suoi effetti, secondo limiti improbabili ma intransigenti.

L'Eros della mitologia antica veniva rappresentato come un ragazzetto scherzoso e capriccioso, capace di colpire gli uomini, e addirittura gli dei, con astuzie spesso crudeli.

Il personaggio mitico, che esprimeva un antagonismo, si chiamava Anteros, e puniva gli individui che respingevano l'amore.

Che Eros fosse un ragazzetto è interessante, perché oltre a essere di genere maschile, non era in età di aver coscienza delle conseguenze dei suoi atti, e di viverli di persona. Può sembrare aneddotico, ma rimanda al candore dell'infanzia, a un'indifferenziazione passiva non esente dalla consapevolezza dei generi.

L'amore, posso dire Amore, sorprende, improvviso, sconcerta, mette in causa l'ordine stabilito, scombussola l'esistenza, sfida la ragione, la sconfigge, riveste il mistero sotto tutte le apparenze immaginabili, eppure, non lo svela mai.

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Michel Besson Bernasconi

Originario di Grenoble, si è appassionato da giovane alla cultura e al patrimonio italiano. Ha svolto in Francia attività teatrale, sia come scrittore di testi che come attore, si è occupato anche di poesia, saggistica, fotografia e video. Ha operato come imprenditore in campo culturale. Ha pubblicato in italiano il saggio Maschere edizioni Altromondo. Attualmente a Grenoble vi è una esposizione di suoi soggetti fotografici. Attualmente risiede in Svizzera italiana

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