I simboli

27 Ottobre 2023



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Credo ci sia bisogno di simboli per rilassare le nostre coscienze, ormai al collasso, per via del carico di immagini che ci impone il contatto con il mondo esterno.

 

Siamo disabituati a sensazioni di sgomento, inquietudine, stupore rispetto a cose che ci accadono: se non riusciamo a darci una spiegazione, ci inquietiamo; vivere non ci basta, vogliamo avere tutto chiaro e in controllo.

 

La nostra società ci invita a immergerci in un bagno di coltura dove la chiave per « vivere bene » è essere conformi a ciò che è benessere per tutti, che piace ai più. I codici del mondo «in rete», infatti, impongono una libertà avvelenata, fatta di logica, ovvietà e velocità: desidera questo, desidera quello, compra qui, accedi là, e via, lungo un sentiero di conformismo. Si è liberi di essere al passo con le tendenze, non di poter ascoltare e coltivare la propria. In altre parole, tutto chiaro, facile, piacevolmente uniforme, per tutti. Se ci si adegua a questa linea comune di certezza, tutto va bene. Ma qualcosa ci assale, prima o poi, di inspiegabile, che arriva da chissà dove. Una sensazione, un malessere, un non si sa cosa. I più giovani sono i primi a soffrire di questo vuoto di senso.

 

«Simbolo», sum-ballein, nel greco antico significa «connettere» – è contrapposto a dia-ballein, da cui deriva la parola «diavolo», che corrisponde a «dividere, scomporre, scindere»).

 

Il simbolo è qualcosa che connette; è un tentativo naturale di riconciliare e riunire gli opposti all’interno della psiche. Il simbolo riporta attitudini, modi di essere, alla soglia della coscienza, che essa stessa aveva rifiutato di assimilare o considerare. Il simbolo è un’immagine che genera un’emozione.

 

La psiche dell’uomo produce simboli – proprio come una pianta produce fiori o frutti. Un simbolo è un prodotto della psiche umana. Nella storia dell’uomo la psiche si è evoluta, e i suoi prodotti, i simboli, sono andati stratificandosi. Con il passare delle epoche sono sempre lì, possiamo vederli come elementi di una archeologia della mente. Non sono estirpabili. E formano l’amalgama che sostiene la vita psichica dell’uomo, di ogni uomo. Il fatto che siano elementi ancestrali, non li rende meno attuali, anzi, conferisce loro un potere dato dall’energia vitale che racchiudono.

 

«Questo valore emozionale deve essere tenuto sempre presente e valutato nel suo giusto peso nel corso dell'intero processo intellettuale di interpretazione dei sogni. È anche troppo facile perdere di vista questo valore, poiché pensiero e sentimento sono così diametralmente opposti da far sì che il pensiero scarti quasi automaticamente i valori sentimentali e viceversa. La psicologia è l'unica scienza a dover prendere in considerazione il fattore del valore (cioé del sentimento), dal momento che esso costituisce il tramite fra gli eventi psichici e la vita. Spesso si accusa la psicologia di non essere scientifica a questo riguardo; ma i suoi critici non riescono a capire la necessità scientifica e pratica di prendere adeguatamente in considerazione il sentimento. Come sanare la frattura. Il nostro intelletto ha creato un mondo nuovo che domina la natura e lo ha popolato di macchine mostruose. Quest'ultime presentano una utilità così indiscutibile che non possiamo neanche immaginarci la possibilità di fare a meno di esse o di rinunciare a essere loro subordinati. L'uomo è costretto a seguire inevitabilmente i suggerimenti della sua mente scientifica e inventiva e a inebriarsi delle proprie splendide conquiste. Contemporaneamente, però, il suo genio rivela una terrificante tendenza a inventare cose che diventano sempre più pericolose, in quanto suscettibili di trasformarsi in micidiali strumenti di un suicidio universale. Di fronte alla valanga crescente dell'aumento della popolazione mondiale, l'uomo ha già intrapreso la ricerca di metodi e strumenti per arginare questo pericolo. Ma la natura può anticipare tutti i nostri tentativi ritorcendo contro l'uomo la sua stessa mente creativa. La bomba H, per esempio, arresterebbe senz'altro la sovrappopolazione. Malgrado il nostro orgoglioso sentimento di dominio sulla natura, restiamo tuttora sue vittime, poiché non abbiamo ancora imparato a controllare la nostra intima natura. Lentamente ma, a quanto pare, con ostinazione irrevocabile, stiamo cercando il disastro».

(Jung, L’uomo e i suoi simboli, ricomporre la frattura).

 

Ecco che il simbolo mi pare fondamentale in questo lavoro di conservazione del valore emozionale, del sentimento, come equilibratore della tendenza unilaterale a un sapere «scientifico», unico che sarebbe legittimo, in una visione moderna forse, ma riduttiva.

 

L’uomo deve riconoscere tutte le proprie componenti, per vivere. Anche a costo di attraversare la sofferenza che questa presa di coscienza può causare.

 

Possiamo immaginare un arsenale di reattori di energia psichica. Possiamo immaginare che ogni individuo riceva, innata, una dotazione di reagenti. Come in una reazione nucleare, questo suo arsenale verrebbe, per così dire, bombardato, come nel caso della fissione, quando i neutroni bombardano il nucleo; i casi della vita, le circostanze, il contesto, gli incontri, sono come neutroni che entrano in collisione con il nucleo. Questa è la storia soggettiva, come un «bombardamento» che l’individuo riceve, e che permette all’arsenale di cui è dotato di esplodere. Si tratta di una esplosione di energia, che determina la creatività

 

dell’individuo. L’immagine del nucleo che esplode «attaccato» da neutroni, è davvero un simbolo. Con questo possiamo dare forse un senso all’emozione di descrivere il genio creativo e il suo prodursi.

 

Non dimenticherei di ricordare ciò che Einstein disse, a proposito dell’atomo: «è più facile spezzarlo (un atomo) che rompere un pregiudizio».

 

Leonardo, inventore, e creatore di simboli.

Leonardo da Vinci ci ha consegnato la Gioconda, che è, da secoli, più di un ritratto : è un simbolo. Si è fatta l’ipotesi che possa esservi, in questa donna, il cui sguardo incrocia quello di milioni di visitatori, ancora oggi, sua madre. Cosa può essere l’intuizione, e quale possa essere il perché di una scelta iconografica come quella di Leonardo per la Gioconda, è un quesito affascinante. Secondo Eric Neuman, la Gioconda rappresenta l’ermafrodito e l’androgino, cioè la ricerca della fusione tra le componenti opposte della psiche, il simbolo di una totalità, una sizigia. Leonardo, uomo assetato di scienza, avrebbe inseguito l’imagine di una unione tra elemento maschile e elemento femminile, una condizione primordiale, che appartiene a un’entità autoindifferenziata. Neumann utilizza le immagini simbolo di archetipo della Grande Madre, per esempio nell’iconografia dell’Antico Egitto, era spesso raffigurata la dea madre con attributi quali il fallo e la barba. Erano immagini che contenevano la stessa ambivalenza spessa attribuita alla Gioconda. Questo approccio transpersonale a Leonardo fa emergere ancora di più la potenza dualistica del suo genio creativo. Nel suo lavoro su Leonardo, “Leonardo da Vinci and the Mother Archetype”, Neumann suggerisce che il genio di molti grandi artisti uomini risiede nel loro aver dato espressione all’anima, o parte femminile del loro inconscio, attraverso le forme artistiche e le convenzioni che trovarono disponibili al loro tempo. Il creativo è spesso fissato allo stadio matriarcale della psiche. Resta a un livello di bisessualità che gli consente di restare in contatto con le due componenti. Come per Henry Moore, Neumann osserva che la proposta figurativa di Leonardo riesce a far tornare lo spettatore a uno stadio infantile che è utile a predisporlo a uan visione più ricettiva e emozionale ; favorirebbe una « partecipazione mistica » di grande valore sul piano della conoscenza profonda di sé.

L'individuo deve riuscire a creare un varco nella sua psiche, deve come creare una fessura, un crepaccio. La regressione aiuta a fare questo esercizio, a patto di non restarvici schiacciati dentro, ma di esserne consapevoli.

È come se una parte di noi dovesse andare in pezzi, per creare, e per conoscere. Spezzarsi, prestarsi a una scissione. Il bellissimo libro di Stefano Massini, Manhattan Project, racconta la storia del cosiddetto clan degli ungheresi, ebrei espatriati oltreoceno, scienziati e uomini di ingegno, che negli anni ‘30 lasciarono l’Europa delle dittature rampanti per scappare negli Stati Uniti, e lì essere implicati nella costruzione della prima arma di distruzione di massa. C’è molto in questa frase di uno dei protagonisti : « l’uranio, per essere uranio, ha bisogno di tutti e due, del 238 che resta intero e del 235 che va in pezzi. (…) Non vince nessuno dei due : io, come ogni atomo, esisto nell’equilibrio fra questo e quello, nel loro girarsi intorno. » (Massini, Manhattan Project, p.103)

Dunque spezzarsi, ma anche saper ritornare uniti. Un’arma potente, di più, una ricchezza. Una capacità che rende capaci di affrontare molte paure. E che rende creativi.

Possiamo vedere questo movimento dinamico della psiche creativa, che passa per una presa di rischio, “un’invenzione”, sia stato portante in Leonardo. Le sue “macchine” sono invenzioni, per il mestiere della guerra e delle armi, ma anche per il mestiere della scoperta scientifica. Dobbiamo a Leonardo avanzamenti tecnici, scientifici e artistici che forse nessuno ha potuto realizzare in una sola vita.

 

 

La Croce

Davanti a una croce ci si sofferma, invariabilmente. L’effetto che fa è lo stesso, da più di duemila anni. Un mistero si annuncia alla vista di una croce. Rievoca un dolore, un sacrificio. È il segno di una presenza umana che tiene in conto l’importanza delle avversità, dei pericoli, dei percorsi difficili. È il segno che c’è una passione.

Non è solo un’immagine legata alla religione. Certo, le generazioni precedenti conservavano spesso immaginette e rosari. Ma la croce è quel modo di rappresentarsi plasticamente un cammino faticoso e sofferto. Portare una croce, è una condizione, che evochiamo con questa simbolo, ancora oggi, e che ci fa sentire consistenti, vivi, ancorché nel dolore.

Non è di un sacrificio devozionale che si parla, ma di un « incrocio » di forze : ascensionale, e orizzontale. Cosa significa ? Nell’osservazione delle dinamiche psichiche, sono reperibili funzioni razionali, e altre, che chiameremo irrazionali. Il pensiero è una funzione razionale. L’intuizione è una funzione irrazionale. La verticalità e l’orizzontalità sono vettori con cui la mente umana identifica una forma che va dal basso all’alto (e viceversa), e una forma che va da un punto all’altro sulla linea del suolo, a terra. La verticalità fa pensare a qualcosa che si stacca da terra ; al contrario, l’orizzontalità è un permanere. La croce simboleggia l’ineluttabilità della compresenza tra queste due dimensioni. Il pensiero ci eleva, si stacca dalla concretezza materiale. Con l’intuizione non « saliamo », ma ci sentiamo saldi nella materia, connessi a ciò che ci succede, siamo all’erta e assorbiamo la vita. È propria dell’istinto, della pulsione, della psiche primordiale. Con il pensiero ci eleviamo, o ci abbassiamo, lungo la verticale della discriminazione, della logica, del discernimento, del pensiero. Non possiamo vivere di una sola dimensione. Se vengono eliminate, l’una come l’altra, creano un’attitudine unilaterale nella psiche, che tenderà a compensare, in modo inconscio, il tentativo di elidere « l’altra parte ». Il grande sforzo, la « passione », il cammino anche doloroso, consiste proprio nell’integrare le due porzioni in noi ; contenerle e accordarle nella coscienza, quella veste, razionale appunto, attraverso la quale siamo in grado di affrontare la vita.

 

 

 

Il nome.

L’unicità ci è accordata dal nostro nome. Dare un nome significa far esistere qualche cosa come unica.

La differenza, cioè la non-unità, la perdita della rassicurante identità. Simboli legati alla differenza, il loro senso è marcarla, questa differenza, esorcizzare l’angoscia della perdita. In realtà si tratta della perdita i una simbiosi immaginata, mai esistita. Dunque di qualcosa che non abbiamo mai sperimentato, ma da cui siamo inesorabilmente attratti (il non-essere).

Ci sono dunque simboli che evidenziano la differenza, e altri che invece rappresentano un’identità, una ricucitura, simboli di unione.

 

 

 

L’anello.

La circonferenza è un simbolo di ritorno e di protezione. Marca uno spazio interno e uno spazio esterno. È un simbolo presente in ogni epoca. La perdita di quell’unità che si vuole ritrovare. Un tentativo che ha almeno due modalità : l’identificazione e la ripetizione.

Il tondo richiama il disco solare.

 

 

Il teschio

Nel quadro Gli Ambasciatori – la vita e la morte. Un ambasciatore non rappresenta mai lui stesso, ma sempre solo qualcun altro. Sono una coppia, perché uno rappresenta la garanzia dell’altro. Il ritorno all’origine e la rinascita. Nei tarocchi.

 

 

 

La stella

De-sideris. Le stelle, gli astri, sono ciò intorno a cui l’uomo si è interrogato da subito, dall’inizio dei tempi. Una stella è fissa, non si muove e brilla. Scompare con la luce del giorno, per riapparire con l’oscurità. Ritorna sempre al suo posto, ogni notte, e si offre allo sguardo fiducioso di chi scruta il cielo. Il desiderio è ciò che un individuo decide di intraprendere de)sideris, a prescindere dalle stelle, senza la divinazione. È dunque l’avventura dell’uomo nel mondo, la ricerca di ciò che gli è proprio e singolare, soggettivo. La protezione e le profezie del cielo non bastano più all’uomo individuato.

La stella è dunque un simbolo di numinosità. Può abbagliare con la sua protettiva luce ottundente. Può essere compensata da una speranza personale di penetrare il proprio mistero, tenendo sempre un occhio alla direzione che le stelle possono servire a orientare.

 

Certamente non basta limitarsi a osservarli, i simboli. Bisogna esporsi al loro valore emozionale. Accoglierlo nella coscienza ; altrimenti, sprofonderà nell’inconscio, per tornare in forme nevrotiche e nocive.

Vale la pena provare ad ascoltare l’inconscio, e il suo linguaggio simbolico. Perché la mente conscia non sembra in grado, spesso, di dare indicazioni che servano d’aiuto. Anzi, si arriva in quei momenti della vita in cui non si sa più cosa fare, « che pesci pigliare ». Ecco. Un pesce di profondità non verrà mai a galla per fare contenta la coscienza. Bisognerà andarlo a pescare ben più giù, perlomeno al di sotto della linea di galleggiamento.

 

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Valentina Da Rold

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