Possiamo misurare la felicità?

21 Febbraio 2021



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Quando in tempi difficili ci si domanda se è possibile comunque essere felici viene immediatamente da chiedersi che cosa è la felicità.

Da che cosa dipende: dipende da noi o da fattori esterni? E, in entrambi i casi, possiamo attivarci per cercare di raggiungerla?

Tralasciando le numerose definizioni che da millenni i filosofi, e più recentemente gli psicologi e i sociologi, cercano di dare, e le immagini create da letterati, poeti e artisti, proviamo ad analizzare i risultati del World Happiness Report che ogni anno misura la felicità secondo le indagini condotte dalle Nazioni Unite in 156 Paesi attraverso la percezione della felicità dei propri cittadini.

Da sempre, sono i Paesi del Nord Europa, a cui negli ultimi anni si è associata la Svizzera, a detenere il primato mondiale. Negli ultimi tre anni, per esempio, al primo posto c’è stata la Finlandia. La Danimarca, invece, è stata in testa alle classifiche per altri tre anni nel 2012, 2013 e 2016.

Mentre in generale, il livello di felicità nel mondo è calato negli ultimi anni, ne sono un esempio gli Stati Uniti, ed è aumentato il livello di “emozioni negative”, tra cui preoccupazione, tristezza e rabbia, specialmente in Asia e Africa, l’Italia risale le classifiche di anno in anno fino a collocarsi, secondo il Report del 2020, al trentesimo posto.

Vengono però spontanee delle domande: noi italiani ci sentiamo sempre più felici di anno in anno come appare dalla classifica? E poi, come si concilia l’alto grado di felicità riscontrata nei Paesi nordici con le statistiche sui tassi di suicidio, di alcoolismo, di disagio psichico, stress, di isolamento sociale, ecc. di gran lunga più elevati che in Italia e rispetto alla media europea?

Forse allora è il caso di indagare innanzitutto su che cosa si intenda per “classifica della felicità”. Indubbiamente, il termine inglese happiness si traduce con felicità, ma andiamo a vedere i dati su cui si fonda il Rapporto.

Le classifiche dell’Onu sulla felicità si basano principalmente su un sistema complesso di indagini fra cui delle interviste fatte a un campione di persone provenienti da 156 Paesi diversi, e riguardanti la percezione della loro qualità di vita su una scala da zero a dieci.

Anche se il benessere economico è fra i fattori principali presi in considerazione, come lo sono l’aspettativa di vita alla nascita, il tasso di criminalità, la corruzione e altri dati oggettivi riguardanti l’ambiente e le relazioni stabilite dall’individuo, nel Report si tiene conto che delle condizioni di vita negative influiscono meno sulla sua percezione di felicità se vengono neutralizzate dalla sensazione di libertà e della possibilità di prendere le decisioni chiave della propria vita, della fiducia negli altri e nelle istituzioni, della certezza di poter contare su di loro in caso di avversità.

Al contrario, la percezione di disuguaglianza delle condizioni economiche e sociali all’interno del proprio Paese e il sentirsi discriminati, così come la mancanza di fiducia nello Stato e di solidarietà nel tessuto sociale acuiscono gli effetti negativi di disoccupazione, divorzio, problemi di salute, ecc.

Il World Happiness Report

Nella classifica dell’Onu, infatti, la libertà politica, i forti legami sociali e l'assenza di corruzione sono, insieme, tre fattori che pesano più della ricchezza nel determinare il gap tra Paesi in cima e in fondo alla classifica. Ecco perché sono i Paesi nordeuropei al top, mentre negli Stati Uniti, per esempio, dove il reddito pro-capite è triplicato dal 1960, gli indicatori della felicità media sono rimasti essenzialmente invariati se non diminuiti negli ultimi anni. E all’ultimo posto della classifica c’è l’Afghanistan e subito prima molti Paesi africani. Non ci è difficile capire che il livello di vita e la sicurezza in quei Paesi sia inferiore agli altri, ma come si può confondere con la felicità? Chiunque sia stato in un qualsiasi Paese del Sud del mondo, escludendo situazioni estreme di disagio, guerre, carestie, avrà notato come la gente e soprattutto i bambini di fronte a piccole cose sorridano, giochino, sembrino più felici dei nostri a cui non è negato quasi nulla.

“La felicità – si spiega nel Rapporto – non è funzione della capacità di esprimere le emozioni. È piuttosto una misura di soddisfazione generale della vita, e soprattutto la fiducia di vivere in un luogo dove tutti si prendono cura l’uno dell’altro”. Ma, pur d’accordo con tutte le affermazioni e i ragionamenti sopra riportati, ci viene spontaneo tornare alla domanda iniziale, stiamo parlando di qualità della vita o di felicità? Come si può affermare che la felicità non abbia a che fare con le emozioni?

La felicità è tipica di chi si è innamorato, di chi ha trovato la sua strada dopo un faticoso percorso, di chi è entrato in stato nascente dove c’è certamente una situazione transitoria e tempestosa fatta di alti e bassi, ma dove ci pare si possa parlare di felicità, così come, ogni giorno tutti possono provare momenti di felicità di fronte a un volto amico, un bel paesaggio, una canzone che riattiva un ricordo, il ritrovamento di un oggetto a noi caro e che pensavamo perduto. Nulla hanno a che fare gli elementi presenti nel Rapporto dell’Onu.

La sensazione di felicità, spesso fugace e improvvisa, è stata ben analizzata da Marc Augé, l’antropologo divenuto famoso per la sua definizione di “non-luoghi” cioè degli spazi senza anima né storia, che riempiono le nostre città come i parcheggi, i centri commerciali, le stazioni, e così via. Egli, però, negli ultimi anni, ha affrontato il tema della felicità oggi, dove regnano inquietudine e angoscia, parlando di “momenti di felicità nonostante tutto” e concessi a tutti, indipendentemente dal Paese di origine e dalla situazione sociale sfavorevole. Essi nascono, “affrontano venti e maree” e riescono perfino a fissarsi stabilmente nella nostra memoria.

Ancora una volta, nulla a che fare con quello che l’Onu intende per felicità e con il Rapporto che, pur molto interessante sotto vari aspetti, viene pubblicato il 20 marzo di ogni anno, data che coincide con la giornata mondiale della felicità, istituita dall'Onu stessa come se ci si potesse impegnare con un atto di volontà ad essere felici.

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Rosantonietta Scramaglia

Laureata in Architettura e in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale. Ha compiuto studi e svolto ricerche in Italia e in vari Paesi. Attualmente è Professore Associato in Sociologia presso l’Università IULM di Milano. È socia fondatrice di Istur – Istituto di Ricerche Francesco Alberoni. È autrice di oltre settanta pubblicazioni fra cui parecchie monografie.

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