Quando le parole diventano rumore

24 Marzo 2020



Quando le parole diventano rumore
Quando le parole diventano rumore

Le “parole di latta” si insinuano tra le notizie, tra le informazioni, e mai come in questo periodo hanno assunto un camaleontismo che rende difficile distinguerle e relegarle nel rumore di fondo, dove dovrebbero stare. Per la smania di commentare, di controbattere, di criticare, di rendere virale un contenuto congetturabile, o per un senso di protagonismo, se ne fa un uso smodato.

Le “parole di latta” sono adattabili, manipolabili, non hanno la fermezza granitica della verità. Non hanno la pienezza di un significato, sono capziose e fuorvianti.

Sono le lamentele, le notizie infondate o peggio false. Sono le catene sui nostri telefonini e le bufale, atti di chiara disinformazione, beceri tentativi di mistificazione dell’informazione.

Ingolfano le nostre menti, riempiendole di un rumore rintronante. Ci distraggono.

Avete presente il trambusto prodotto da tanti barattoli di latta legati tra loro che rotolano lungo la strada? Non è forse un clanking, uno sferragliare continuo, un rincretinente tintinnare?

Ecco. Le parole di latta producono lo stesso effetto. Fanno solo rumore che appesantisce più dei numeri terrificanti.

È già difficile orientarsi in questo continuo bombardamento di notizie e, ancor più difficile, è mantenere il controllo sull’intreccio di emozioni che, silenzioso e strisciante, agisce come un incursore sottopelle.

Siamo sigillati in una realtà asfittica. Stiamo vivendo una situazione eccezionale senza precedenti.

Siamo relegati ai domiciliari, a una carcerazione preventiva senza una scadenza di pena.

Non c’è più al mondo alcuna isola felice, alcun paradiso incontaminato. Tutti abbiamo oggettivamente un problema. Nessuno escluso.

La quarantena (di massa) esaspera lo smarrimento ed è solo non facendoci rintronare dal rimbombo snervante di mille parole inutili che possiamo non perdere la bussola.

Come possiamo difenderci da questo stordimento?

Occorre restare lucidi, ragionare, perché ci muoviamo, tutti, nell’incertezza totale.

Per non farci sabotare dalle paure dobbiamo mantenere le distanze da ciò che ci sottrae energia e forze.

Dobbiamo affidarci all’arte del discernimento, per sviluppare una visione critica e filtrare tutto quello che arriva alle nostre orecchie o sui nostri telefonini.

Ci siamo lasciati alle spalle l’entusiasmo ingenuo dei cori sui balconi, quella sprovvedutezza iniziale, e lentamente stiamo imparando a dominare la nostra impressionabilità, per questa nuova realtà.

Per sentirci vicini, da lontano, anziché scambiarci materiale spartito incondizionatamente con tutti: video ironici, sagaci o beffardi o catene, informazioni sommarie o messaggi vocali realizzati chissà quando e chissà dove, è più coinvolgente fare una telefonata o mandare un messaggio per chiedere: “Come stai?”.

È importante sentirsi in comunione, nel dolore, intorno a quei valori che ci avvicinano e che non creano ulteriore disordine.

Dobbiamo sforzarci di moderare i toni delle polemiche, scegliere con cura l’alfabeto di emozioni da condividere, usare parole pacate, rassicuranti, le più lievi e cristalline, quelle che si poggiano sul cuore con la forza di una carezza.

Ma soprattutto è bene tacere laddove le nostre competenze non arrivano.

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Quando le parole diventano rumore

Luisella Pescatori

È direttore artistico e della didattica di Atelier la sua agenzia letteraria di Milano. Si occupa di editoria, di comunicazione e di rappresentanza di autori. Professionalmente si forma in Teatro, recitando in diverse compagnie di giro, in spot pubblicitari, in produzioni cine-televisive. Il Teatro è oggi uno dei plus delle sue docenze, esclusivamente individuali, di scrittura creativa. Ha lavorato per diversi anni in un’importante web agency milanese. È coautrice de “La profezia delle triglie” testo adottato come materia di studio al corso “Sociologia della devianza” Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Università della Calabria. Scrive su Huffpost.

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