Se siamo interessati a definire con esattezza cosa sia l'amore, l'amore erotico che unisce un uomo e una donna in una unità intensa ed esclusiva, c'è una parolina magica che ci consente di farlo: questa parolina è “reciprocità”.
Quello di Teresa di Calcutta per i suoi derelitti è “carità”; quello di un patriota che muore per la sua patria è “sacrificio”. Siamo abituati in questi casi a parlare comunque di amore e a chiamare “amore umanitario” quello della persona interessata al bene comune e “amor patrio” quello dell'eroe disposto al sacrificio. Commettiamo questo errore in tanti altri casi. Quando un'infermiera “ama” il suo lavoro, nel linguaggio colloquiale parliamo di “amore professionale”. Ma le infermiere non amano in modo “personale” i loro pazienti, quindi non si attendono da loro una totale reciprocità. Dovremmo chiamare il loro sentimento “dedizione professionale”, non “amore”. Lo stesso vale per la santa caritatevole, che non si attende totale reciprocità dai suoi assistiti, anzi la disdegna; e per l'eroe che non pensa di dover essere amato con reciproca dedizione dalla sua patria, perché lo ritiene superfluo. Se non facessimo queste distinzioni, ci confonderemmo le idee.
L'unico e vero amore erotico che sia degno di questo nome è l'amore reciproco: l'amore inteso a promuovere la reciprocità. L'amore non è amore se non si autorizza in virtù della restituzione di amore da parte dell'amato. Vale per la madre della quale continuiamo a dire con proprietà di linguaggio che il suo è un “amore materno”, perché per quanto in apparenza sia disinteressata, ella desidera che il figlio sia sano e cresca e che con la sua felicità la premi degli sforzi fatti per lui. Questo è desiderio di reciprocità. Lo conserviamo anche per l' “amore filiale”, laddove il figlio che si dedica al padre o alla madre lo fa nella speranza che loro se ne avvedano e lo amino a loro volta.
A maggior ragione l'assunto della reciprocità deve valere negli amori di coppia, negli "amori erotici". Anzi, con una definizione ancora più radicale, dovremmo dire che l'amore non è solo un sentimento; è soprattutto un rapporto: è il sentimento di dedizione ed estasi che si sviluppa e cresce all'interno di una rapporto di reciprocità. Posso amare una persona che ignora il mio amore solo fino al momento in cui la metto nella condizione di riconoscere il mio amore e di convalidarlo con la propria gioia e la propria reciproca dedizione. Prima di quel momento il mio è un amore unilaterale, basato sulla mia assenza come oggetto d'amore; quindi il mio non è propriamente amore, ma “desiderio d'amore”. Solo a partire dal momento in cui so di essere riconosciuto, solo a partire dal momento in cui chi amo riconosce il mio amore e ne gioisce e me ne ridà altrettanto, solo allora nasce l'eros: l'amore reciproco ci afferra e ci modifica in relazione a ciò l'altro vede in noi.
Il vero amore è dialogico e dialettico. L'eros nasce dal riconoscimento, nasce con un moto di totale ed estatica reciprocità. Solo l'eros reciproco dà vera vita all'amore.
Diversamente, l'amore porta con sé l'ombra della morte.