Una comunità forte

1 Settembre 2019



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Una impresa, una nazione, uno stato, perfino una impresa artigiana, una famiglia raggiunge i suoi successi più strepitosi quando il gruppo è formato da persone che condividono gli stessi fini ed in cui ciascuno dimentica i propri interessi personali o di parte per darsi totalmente allo scopo comune. Una situazione difficile da realizzare ma importantissima.

In compenso, quando il gruppo è diviso, in conflitto, le cose vanno male. È questo ciò che ogni leader, ogni imprenditore, ogni capo dovrebbe voler realizzare. E, quando lo ha realizzato, dovrebbe coltivare, tenere vivo, proteggere, potenziare questo spirito, ed impedire che si accendano i processi negativi in cui ogni individuo antepone la sua personale meta individuale, il suo personale interesse alla meta collettiva.

Troppo spesso dimentichiamo che qualsiasi l’impresa, qualsiasi istituzione e persino la famiglia, la stessa coppia è formata da esseri umani che diventano forti quando sono uniti, quando hanno una meta comune.

Troppo spesso dimentichiamo che tutti vogliono sentire che la loro attività, il loro contributo il loro lavoro sono importanti per gli altri, che hanno un valore. Che una impresa si espande, trionfa, ha successo quando tutti, dal presidente al portiere, al fattorino, sono orgogliosi di appartenervi e di contribuire al suo sviluppo.

Troppo spesso dimentichiamo che una impresa o una istituzione prospera e fiorisce solo quando chi decide è capace e gli altri approvano, apprezzano, stimano, amano e che lo eleggerebbero loro stessi.

Troppo spesso dimentichiamo che una impresa prospera quando tutti, dai più alti dirigenti ai più umili dipendenti sono sicuri che la loro attività viene capita, apprezzata, premiata, con equità, con giustizia.

Troppo spesso dimentichiamo che una impresa fiorisce e prospera quanto la gente, a tutti i livelli, si stima, si rispetta, quando, anziché odiarsi collabora, quando si aiuta, quando non mente. Quando non si invidia.

Troppo spesso dimentichiamo che non bastano le parole, le dichiarazioni di principio, per motivare le persone, perché queste si accorgono quando i fatti non corrispondono alle dichiarazioni, quando quelli che ti circondano fingono di essere convinti, ma sono in realtà falsi ed ipocriti.

Tropo spesso dimentichiamo che una nazione, una impresa, una famiglia, una coppia non è solo una entità cementata da interessi, ma una comunità morale. Quando si spezza la comunità morale, e il gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere del guadagno, delle chiacchiere o, ancor peggio, dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità, alla fine fallisce.

Troppo spesso dimentichiamo che, oltre all’intelligenza, alla lungimiranza, oltre alla stessa genialità di chi prende le decisioni, chi comanda deve avere realmente delle qualità morali, delle virtù. Perché solo se le possiede in proprio potrà trasmetterle agli altri. Sembra impossibile che la gente abbia dimenticato che qualsiasi formazione sociale ha bisogno di moralità. E che la moralità non è fatta di parole, ma di sentimenti sinceri e di comportamenti coerenti. E che si insegna solo con l’esempio.

La parola virtù è oggi così poco usata che ci siamo perfino dimenticati il suo significato. Una virtù è un insieme di qualità, profondamente interiorizzate, che soddisfano simultaneamente tre requisiti. Il primo è di realizzare qualcosa che conta, un valore. Il secondo è di ottenere risultati utili per noi o per la nostra comunità, cioè una utilità. Il terzo, di costituire un modello, un comportamento che vorremmo seguissero anche gli altri. Solo quando sono presenti tutti e tre questi requisiti una virtù è completa.

Prendiamo come esempio il coraggio. Il coraggio deve farmi sentire più forte e migliore. Deve consentirmi di realizzare gli obbiettivi che mi pongo, le mie mete. Ma ciò che faccio deve anche poter essere un modello per tutti. Il coraggio di fare il male perciò non è una virtù. Ma non lo è nemmeno il coraggio di fare cose che ci danneggiano.

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Francesco Alberoni

Laureato in medicina, ordinario di Sociologia a Milano. Ha studiato il divismo L’elite senza potere (1963) ed è stato il fondatore della sociologia dei consumi in Europa: Consumi e società (1964). È il maggior studioso dei movimenti collettivi Movimento e istituzione (1977) e Genesi (1989), è il pioniere degli studi sull’amore: Innamoramento e amore (1979) tradotto in trenta lingue, un tema che ha continuato ad approfondire con L’amicizia (1984) l’Erotismo 1986) Ti amo (1996) Sesso e amore (2006) L’arte di amare (2012) Amore e amori (Edizioni Leima, Palermo, 2016). Con Cristina Cattaneo ha pubblicato L'universo amoroso (2017), Amore mio come sei cambiato (2019) e L'amore e il tempo (2020), Il rinnovamento del mondo. E' mancato il 14 agosto 2023.

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