Attualità di Franz Kafka

14 Ottobre 2024



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Perché Kafka ci appare così attuale proprio in questo periodo storico, più ancora che nel novecento?

Forse perché, grazie al suo approccio unico alla scrittura e alla psiche, ha riplasmato la letteratura mondiale (in parte grazie alle sue esperienze personali, ai conflitti familiari e al senso di alienazione che provava in quanto ebreo nella Mitteleuropa dell’epoca), introducendo un nuovo modo di scrivere, ovvero presentando protagonisti che affrontano situazioni bizzarre e surreali.

Nessuno scrittore di narrativa prima di lui era riuscito ad analizzare e a mettere in scena temi come l’alienazione, l’ansia esistenziale, la colpa e le assurdità della vita, immergendo il lettore in atmosfere perturbanti dove si può ritrovare la cifra della modernità (tant’è che i temi cari a Kafka sono divenuti centrali anche nell’opera di altri artisti in ambiti extraletterari, si pensi per esempio al tema della metamorfosi corporea nei film più noti di registi come David Cronenberg e Shinya Tsukamoto).

Le sue storie, come La metamorfosi (1915) e Il processo (1925), raffigurano personaggi intrappolati nella propria mente, che lottano per navigare nel mondo esterno.

Per quanto riguarda il romanzo Il processo, Kafka, pur non essendo riuscito a completarlo, scrisse alcune sue parti intorno al 1915 e riuscì a farle pubblicare in vita come racconti autonomi. Fra questi, uno dei più importanti è Vor dem Gesetz, noto in traduzione italiana come Davanti alla legge, pubblicato la prima volta nell’edizione di Capodanno del 1915 del settimanale ebraico indipendente “Selbstwehr” (che si può tradurre come “autodifesa” o “autoaiuto”) e, nel 1919, inserito nella raccolta Ein Landarzt (Un medico di campagna). Questo racconto è parte integrante del decimo capitolo del Processo e riassume sotto forma di parabola le vicende del protagonista, Josef K., il quale non riesce a capire da quali persone e accuse debba difendersi.

La parabola viene raccontata dal prete della cattedrale, in cui il protagonista tenta di rifugiarsi e da cui cerca di uscire prima che il prete stesso lo chiami per nome senza averlo mai visto e gliela racconti. Davanti alla legge narra la vicenda di un uomo di campagna che tenta di avere accesso alla giustizia, ma viene respinto da un “guardiano” senza motivazioni apparenti.

Davanti alla legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla legge. Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire. L’uomo dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. «Può darsi», dice il guardiano,«ma adesso no».

Alienazione, ansia esistenziale, colpa e assurdità della vita traspaiono già da queste prime righe, in cui il protagonista della parabola non riesce a capire il motivo per il quale non riesce ad accedere alla giustizia.

Più avanti nella narrazione, questi temi vengono amplificati mediante l’esposizione delle capacità retoriche e riflessive del protagonista, il quale riconosce l’assurdità di non poter avvicinarsi ai rappresentanti della legge, pur non volendola infrangere.

L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, nel suo pensiero, dovrebbe esser sempre accessibile a tutti; ma ora, osservando più attentamente il guardiano chiuso nella sua pelliccia, il suo gran naso a becco, la lunga e sottile barba nera all’uso tartaro decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso.

Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta. Giorni e anni rimane seduto lì. Diverse volte tenta di esser lasciato entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere.

Va ricordato che Kafka aveva ben poche distrazioni in quel periodo e il suo lavoro presso un ente statale non faceva che ricordargli di non poter essere uno scrittore a tempo pieno. Il contesto sociale sionista in cui Max Brod lo aveva imbrigliato difficilmente poteva essere di aiuto nel superamento di questa impasse, soprattutto intesa in senso cognitivo. Il realismo magico tipico delle opere di Kafka è particolarmente evidente nella descrizione insieme caricaturale e fiabesca del guardiano «chiuso nella sua pelliccia, il suo gran naso a becco, la lunga e sottile barba nera all’uso tartaro». Si potrebbe pensare a un essere sovrannaturale contrapposto al pragmatismo del protagonista, il quale preferisce perseguire la retta via e attendere che il guardiano lo lasci passare legalmente («decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta» perché la legge dovrebbe essere accessibile a tutti).

«Tutti si sforzano di arrivare alla legge», dice l’uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all’infuori di me, ha chiesto di entrare?». Il guardiano si accorge che l’uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo».

Alienazione, ansia esistenziale, colpa e assurdità della vita: pur avendo profuso ogni sforzo nel raggiungimento, senza stratagemmi, della legge, il protagonista pur essendo in punto di morte viene respinto e allontanato dal suo obiettivo in maniera beffarda, subito dopo averlo informato che solo lui aveva il privilegio di entrare.

Nella  metamorfosi[1], a differenza di Davanti alla legge, non vi è un responsabile personificato a cui dare la colpa di non poter raggiungere i propri obiettivi, ma sono gli altri personaggi a non accettare la trasformazione del protagonista in un insetto, allontanandolo sempre più nel corso della narrazione.

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante.

«Che cosa mi è capitato?» pensò. Non stava sognando. La sua camera, una normale camera d’abitazione, anche se un po’ piccola, gli appariva in luce quieta, fra le quattro ben note pareti. Sopra al tavolo, sul quale era sparpagliato un campionario di telerie svolto da un pacco (Samsa faceva il commesso viaggiatore), stava appesa un’illustrazione che aveva ritagliata qualche giorno prima da un giornale, montandola poi in una graziosa cornice dorata. Rappresentava una signora con un cappello e un boa di pelliccia, che, seduta ben ritta, sollevava verso gli astanti un grosso manicotto, nascondendovi dentro l’intero avambraccio.

 

Ricompaiono alienazione, ansia esistenziale, una circostanza fantastica unita a un realismo che potrebbe far sembrare vera una situazione assurda. E il pragmatismo, già presente in Vor dem Gesetz, torna più vivo che mai. «E se cercassi di dimenticare queste stravaganze facendo un’altra dormitina?»

Nonostante il suo stato di salute e soprattutto la condizione del suo corpo mostruoso, il protagonista cerca comunque di assolvere i suoi doveri quotidiani, facendo il possibile per prepararsi e andare al lavoro, pur non riuscendovi.

«Ho molte più preoccupazioni che se lavorassi in proprio a casa, e per di più ho da sobbarcarmi a questa tortura dei viaggi, all’affanno delle coincidenze, a pasti irregolari e cattivi, a contatti umani sempre diversi, mai stabili, mai cordiali. All’inferno tutto quanto!»

Di seguito tenta di ritrovare una apparente normalità nell’assurdità.

Intanto all’uscio dirimpetto si udiva la sommessa implorazione della sorella:

«Gregor! Non stai bene? Ti serve qualcosa?»

«Ecco, son pronto» r

ispose lui in tutte e due le direzioni, e si sforzò di togliere alla voce ogni inflessione strana pronunziando molto chiaramente le singole parole e intercalandole con lunghe pause.

Il protagonista non vuole far preoccupare la sua famiglia, dipendendo quest’ultima economicamente da lui, e in modo grottesco tenta di nascondere al mondo la sua condizione.

Per prima cosa voleva alzarsi tranquillo e indisturbato, vestirsi e soprattutto far colazione, e solo dopo pensare al resto: giacché, se ne rendeva ben conto, standosene a letto ad almanaccare non avrebbe mai risolto nulla di sensato.

La situazione diventa ancor più ansiogena e assurda, se non alienante, quando il suo superiore, ovvero il procuratore, fa visita alla famiglia dapprima per sincerarsi delle condizioni di salute del suo sottoposto, il commesso viaggiatore Gregor Samsa, e poi per rinfacciare a quest’ultimo un presunto scarso rendimento, senza tuttavia avere prova documentale delle sue affermazioni.

«Ma signor procuratore,» gridò fuor di sé Gregor, dimenticando ogni norma di prudenza, tanto era agitato, «le apro subito, all’istante. Un lieve malessere, un capogiro mi ha impedito di alzarmi. Sono ancora coricato, ma ormai mi sono rimesso. Ecco, sto scendendo dal letto, pazienti ancora un minuto! Non mi muovo tanto facilmente come speravo, però di malessere non si può più parlare. Vede come certe volte uno vien preso alla sprovvista! Ieri sera stavo benissimo, i miei lo sanno: o per meglio dire, già ieri sera sentivo come un piccolo avvertimento, me lo si poteva leggere in faccia, credo. Perché mai non ho subito avvisato l’ufficio! Ma si spera sempre di poter vincere la malattia, senza bisogno di rimanere a casa. Signor procuratore! Abbia clemenza per i miei genitori! Quanto ai rimproveri che lei mi ha mossi, non c’è nulla di vero; nessuno mi ha mai detto una parola al riguardo. Forse non ha letto le ultime commissioni che ho spedite?

La situazione comincia ad andare fuori dal controllo cognitivo della famiglia quando né il procuratore né i familiari riescono più a comprendere bene le parole di Gregor, che ormai non sembrano nemmeno umane.

«Era una voce di bestia,» disse il procuratore

Senza riportare in questa sede troppi esempi dal testo originale riguardanti la scena descritta, una volta aperta la porta della camera, Gregor Samsa prova a chiarire il suo stato di malessere e la sua dedizione al lavoro, sincerandosi che il procuratore intenda ogni parola; tuttavia quest’ultimo lascia l’abitazione senza spiegazioni, ma scosso alla vista del protagonista.

Mentre i suoi parenti stretti sono preoccupati più per le sorti finanziarie della famiglia che del figlio, comincia un processo di alienazione di Gregor dal nucleo familiare per opera della sorella.

Per quanto si sbizzarrisse nelle congetture, non avrebbe però mai immaginato ciò che la sorella, nella sua bontà, stava per fare. Allo scopo di studiare i suoi gusti ella gli portò, distesa su un vecchio giornale, tutta una scelta di cibi. C’era della verdura vecchia, mezzo marcita, delle ossa avanzate a cena, intinte di una salsa bianca coagulata, qualche chicco d’uva passa e delle mandorle, un formaggio che due giorni prima lui stesso aveva dichiarato immangiabile, un pezzo di pane asciutto, un altro imburrato e un altro ancora con burro e sale. Vicino a questa roba posò poi la ciotola – che evidentemente ormai era riservata a Gregor – con dentro dell’acqua; e comprendendo, nella sua delicatezza, che egli non avrebbe mangiato di fronte a lei, uscì in fretta e girò la chiave, così da lasciargli capire che facesse con tutto il suo comodo.

Giorno dopo giorno Gregor Samsa viene lasciato sempre più in disparte, la domestica chiede di essere licenziata e viene rimpiazzata con una vedova, la quale prende pian piano il posto della sorella per quanto riguarda le cure rivolte a Gregor.

Ma anche se la sorella, sfinita dal lavoro in negozio, rifuggiva con disgusto dall’accudire come prima a Gregor, non era affatto necessario perciò che si scomodasse la madre; Gregor non correva alcun pericolo di essere trascurato, grazie alla presenza della donna di fatica. Questa vecchia vedova, cui la forte ossatura aveva consentito, nel corso della sua lunga vita, di superare ogni traversia, non provava nessuno speciale ribrezzo per lui. Non curiosità, ma il puro caso l’aveva spinta una volta ad aprire la porta della stanza, e alla vista di Gregor che, tutto sbigottito (sebbene nessuno lo inseguisse), aveva cominciato a correre di qua e di là, era rimasta a guardarlo meravigliata, congiungendo le mani in grembo.

Da allora non mancava mai, la mattina e la sera, di schiudere brevemente l’uscio per dargli un’occhiata: dapprincipio gli rivolgeva anche dei richiami che senza dubbio riteneva affettuosi, come: «Vieni un po’ qui, vecchio bacarozzo!» Oppure: «Guardatelo, quel vecchio bacarozzo!» A quelle apostrofi Gregor non reagiva: rimaneva immobile, come se la porta non fosse neppure stata aperta. Almeno avessero ordinato a costei di riordinargli giornalmente la stanza, invece di lasciare che lo importunasse senza costrutto come più le piaceva! Un mattino all’alba – mentre una pioggia violenta, già forse preannuncio dell’imminente primavera, batteva contro i vetri – udendo la donna ricominciare a stuzzicarlo, Gregor provò una tale stizza che, pur lento e debole com’era, le si rivoltò contro, quasi volesse assalirla. Ma quella non mostrò alcuna paura; semplicemente, alzò in aria una sedia che stava accanto all’uscio e spalancò la bocca, palesando chiaramente l’intenzione di richiuderla solo assestandogli una seggiolata sulla schiena. «Non vieni più avanti, eh?» chiese vedendo Gregor fare dietro front, e rimise tranquillamente la seggiola al posto di prima

Segue una serie di vicissitudini legate, più che altro, alla situazione finanziaria della famiglia, la quale ha portato i familiari di Gregor a intraprendere una o più attività lavorative (il padre è usciere in banca, la madre affittacamere e sarta e la sorella commessa in un negozio). Gli eventi precipitano, a tal punto che il protagonista smette di nutrirsi e muore. Il padre caccia di casa i pigionanti e decide di godere della ritrovata libertà con il resto della famiglia.[2]

Decisero di dedicare quel giorno al riposo e ad una passeggiata: era una piccola vacanza che non solo si erano meritati, ma di cui avevano assoluto bisogno. Si sedettero perciò intorno al tavolo e scrissero tre lettere di giustificazione: il signor Samsa alla direzione della banca, la signora al suo committente e Grete al suo principale. Mentre scrivevano entrò la donna di servizio: se ne andava, disse, perché aveva finito il lavoro del mattino. I tre si limitarono ad annuire senza alzar gli occhi; ma, accorgendosi che la donna non si decideva ad uscire, la guardarono corrucciati. «Ebbene?» chiese il signor Samsa. L’altra se ne stava ferma sulla porta sorridendo, come se avesse da comunicare qualche bella notizia, ma volesse un’esplicita richiesta prima di parlare. La piccola penna di struzzo che le ornava il cappello, e che, da quando l’avevano assunta, formava l’oggetto delle ire del signor Samsa, dondolava lievemente qua e là. «Si può sapere che cosa vuole?» domandò la signora Samsa, che più degli altri riscuoteva la sua deferenza. «Già, già,» fece lei, e rideva tanto di cuore da non poter continuare a parlare, «be’, quanto alla questione di portar via quell’affare di là, volevo dire, non hanno da preoccuparsi. È già tutto fatto.» La signora Samsa e Grete chinarono il capo sulle loro lettere, come se volessero riprendere a scrivere; il signor Samsa, intuendo che la donna aveva voglia di raccontare ogni cosa per benino da principio, respinse decisamente quel proposito tendendo il braccio. Visto che non poteva raccontare, lei si ricordò di avere una gran fretta, lanciò con aria offesa un «buongiorno a tutti!», si volse di furia e uscì con un pauroso sbatter di porte.

«Stasera la si licenzia» disse il signor Samsa, ma né la moglie, né la figlia gli diedero risposta: evidentemente l’irruzione della serva aveva rotto di nuovo, per loro due, la tranquillità appena conquistata. Si alzarono, andarono alla finestra e rimasero lì, tenendosi abbracciate. Il signor Samsa, dalla sua poltrona, si girò verso di loro e le osservò un poco in silenzio, poi le chiamò: «Avanti, venite qua. Dimenticate una buona volta le vecchie faccende e prendetevi un po’ cura di me.»

Le due donne gli obbedirono subito, gli fecero delle carezze e terminarono in fretta i loro scritti.

Poi uscirono tutti insieme – era la prima volta dopo tanti mesi – e presero un tram che li portò in aperta campagna fuori della città. Erano soli nella carrozza tutta piena della calda luce del sole. Comodamente appoggiati agli schienali, discussero le prospettive che si aprivano per il futuro. Risultò che, attentamente considerate, queste erano tutt’altro che sfavorevoli: i tre loro impieghi, anche se nessuno ne aveva mai fatto cenno agli altri, erano decisamente vantaggiosi e, ciò che più importa, suscettibili di sviluppo. Naturalmente, per alleviare la situazione immediata, il modo più facile era quello di cambiar casa: avrebbero cercato un quartierino più piccolo e più economico, ma in posizione migliore e comunque più pratico dell’attuale, che era stato scelto da Gregor. Mentre così chiacchieravano, i coniugi Samsa, guardando la loro figliola farsi sempre più vivace, si avvidero quasi contemporaneamente come, nonostante tutto il soffrire che le aveva smunto le guance, negli ultimi tempi essa si fosse trasformata in una bella e florida giovinetta. Si fecero più zitti, e quasi inconsciamente, intendendosi con gli sguardi, convennero che presto sarebbe giunto il momento di trovarle un buon marito. E, quasi a confermare quei nuovi sogni e buoni propositi, al termine del percorso la ragazza si alzò per prima, stirando le giovani membra

Il racconto si conclude positivamente per la famiglia, in quanto i genitori del defunto decidono di cambiare alloggio, di tenere in forza le posizioni lavorative acquisite dal nucleo familiare in quanto considerate (secondo la traduzione di Castellani[3]) «suscettibili di sviluppo» e far sposare la figlia. Un lieto fine piccolo borghese che, in quanto esito diretto del dramma di Samsa e della sua morte, restituisce uno dei ritratti più grotteschi e corrosivi della famiglia che si possano ritrovare nella letteratura del Novecento.

 

 

 

 

 

Bibliografia

Bagnasco, Claudio. Franz Kafka, cinque opere per (ri)scoprire l’autore a cento anni dalla morte, "Wired Italia". 3 giugno 2024. https://www.wired.it/gallery/franz-kafka-opere-centenario-morte/ (ultima consultazione: 29 luglio 2024).

Brod, Max. 1995. Franz Kafka: A Biography, Reprint edition, Da Capo Press.

Forte, Luigi (2020). “La metamorfosi di Franz Kafka.” Rai Cultura Letteratura. https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2020/03/La-metamorfosi-di-Franz-Kafka-c106ee2a-9fab-47f8-9396-ad2b67505f9f.html (August 14, 2024).

Ludewig, Anna-Dorothea (2023). Es ist viel Liebenswürdiges darin. Max Brods Schreiben über Kafka. "Aschkenas", 33(2), 273–286.

Tonelli, Livia, Tania Baumann, e Wolfgang U Dressler (2009). Die Verwandlung von Franz Kafka: Ein Vergleich italienischer Übersetzungen im Spiegel der Natürlichen Texttheorie. "M. Foschi ua (Hg.). Text und Stil im Kulturvergleich. Pisaner Fachtagung", 229-247.

Wagenbach, Klaus (1964). Franz Kafka in Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg. 1983, tr. it.  di Ervino Pocar, Kafka, Mondadori, Milano 1981.

 

 

 

 

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