Del leggere e dello scrivere

4 Marzo 2024



Del leggere e dello scrivere
Del leggere e dello scrivere

Ricordo che da adolescente incontravo quotidianamente un signore di mezz’età che camminava per strada; era sempre solo e teneva in mano un libro.  Camminava leggendo, immerso in un mondo tutto suo, totalmente disinteressato a quello che accadeva intorno a lui. Non guardava la strada e i potenziali pericoli, non alzava lo sguardo sulle persone che incrociava. I miei amici ed io ci chiedevamo come potesse non inciampare e cosa lo proteggesse dall'essere investito: le auto erano poche in centro storico, ma ce n’erano. Eppure non accadeva mai. Forse c’era un dio protettore dei lettori vaganti?

Ridevamo e sentivamo che il suo disinteresse per qualsiasi cosa che non fosse il leggere esprimeva qualcosa di conturbante, di sottilmente fastidioso: quell'uomo mostrava in pubblico il totale disinteresse per gli altri - e anche noi eravamo parte di questi altri - e ostentava un piacere solitario, del quale evidentemente non poteva fare a meno.  Ma perché non leggeva a casa sua? Non era anche una forma di esibizionismo? A noi che amavamo leggere, allora leggevamo tutti molto, la lettura appariva come una passione solitaria, intima, la gustavamo appartandoci, aprivamo il nostro libro al riparo da occhi indiscreti.

Non potevamo immaginare un paradosso, che quest'uomo era un anticipatore di un comportamento oggi consueto. Una miriade di persone di tutte le età cammina per strada con gli occhi puntati sullo smartphone, ignari del mondo.

Dunque anche se si dice che sempre meno persone leggono, forse non è vero. Forse si leggono cose diverse. Leggiamo sempre meno romanzi e saggi. Sempre meno per piacere e sempre più per dovere. Qualsiasi adempimento burocratico richiede di leggere una mole di documenti impressionante.  Ma non solo i documenti burocratici richiedono un'attenta lettura. Prima compravamo un termometro e lo infilavamo sotto il braccio. Ora dobbiamo leggere e rileggere le istruzioni per regolarlo perché è un raffinato apparecchio elettronico. Non parliamo poi delle continue evoluzioni del digitale. Ogni nuova versione di un software ci costringe a leggere pagine e pagine di istruzioni e suggerimenti. Quindi non è tanto vero che non leggiamo.

Infine, leggiamo molto più di prima e continuamente per essere informati. Pochi ormai leggono i giornali, ma i nostri smartphone sono inondati da notizie dell'ultima ora. Sappiamo che è indispensabile farlo, non vogliamo rimanere indietro, rimanere fuori dal mondo. Anche se questo ci espone a un diluvio di notizie, neppure sempre vere.  E neppure sempre interessanti.

Ma c’è un altro sottile cambiamento. Nei primi anni di diffusione del web, le notizie ci venivano date in modo molto sintetico e con un linguaggio semplificato.

Non so se avete notato che da qualche tempo questa lettura frettolosa da internet, dove la notizia andrebbe data nelle prime tre righe, è regolarmente contrastata. I gestori dei siti vogliono che ci soffermiamo a lungo a casa loro e l’unico modo che hanno è trattenerci sui loro testi. Così sempre più spesso iniziamo a leggere un articolo che ci promette di rivelarci una notizia clamorosa, tanto più clamorosa quanto più siamo curiosi (ad esempio la verità che capovolge quanto sapevamo sulla morte di Lady Diana); ma l'articolo è fatto in modo da rimandare la notizia continuamente alle righe successive. Così corriamo alla fine dell’articolo per avere finalmente l’agognata informazione ma non la troviamo. Più avveduti di noi, costoro la nascondono nel mezzo del testo, inframmezzata a parole che servono solo di contorno. Questa strategia di marketing per farci leggere più a lungo mi fa venire in mente un breve e provocatorio scritto di Shopenhauer “ Del leggere e dei libri”.

Shopenhauer se la prende con quelli, che già all'epoca sua esistevano, scrivono senza pensare, cioè senza avere nulla da dire. Ma critica anche coloro che "pensano al fine di scrivere", cioè per vendere e avere notorietà. Li disprezza.

E lancia i suoi strali anche contro coloro che, non prestando la massima cura a trovare la forma migliore per le proprie idee, dimostrano che neppure ai loro stessi occhi, esse hanno grande valore.

Ma non assolve neppure il lettore: il leggere, sostiene, richiede altrettanta responsabilità.

Questa posizione del filosofo mi aveva colpito, perché avevo sempre sentito dire da bambina e da ragazza, che non importa cosa leggi. Importante è che leggi. Perché la lettura è cultura. E ricordo che quando mia figlia era neonata, era di moda regalare i libri di stoffa, per avvicinare i bebè alla lettura. E molte mamme ci credevano!

Invece Shopenhauer pensa che quando usi il tuo tempo per leggere, devi essere attivo ed esigente: interroga l'autore, confrontati con quello che ha scritto, prendi posizione nei suoi confronti!

Ma non basta. Quando leggiamo, infatti, secondo il filosofo, se non siamo vigili, ci mettiamo in balia di un altro che pensa per noi.  Di un altro che ci guida nei suoi processi mentali. E noi lo seguiamo senza reticenza, come lo scolaro che sta imparando a scrivere rifà con la penna le righe tracciate dal maestro, come un ipnotizzato il suo ipnotizzatore.

Shopenhauer ci vuole rendere consapevoli che la lettura può anche essere indottrinazione e ci incita a pensare con la nostra testa.  E con molta decisione scrive che “nel leggere, il lavoro del pensare ci viene tolto per la maggior parte” se restiamo passivi. Mi ricordo quando negli anni della contestazione giovanile, si diffuse il libretto rosso di Mao. Questi studenti capivano quello che leggevano? Capivano cosa significava il maoismo?

Però c’è una differenza tra queste situazioni e i romanzi, e penso soprattutto ai grandi capolavori sinché la cancel culture non li censurerà. Io credo che questa esperienza di essere portati via dalla lettura, l'abbiamo fatta tutti, in particolare in adolescenza quando passavamo le notti svegli con un libro e una lucina, nascosti sotto le lenzuola per non farsi scoprire dalla mamma. Non riuscivamo a smettere di leggere il romanzo che avevamo iniziato, dovevamo assolutamente sapere come andava a finire, senza perdere una sfumatura. E io di quel periodo e di quei romanzi ho nostalgia.

Il filosofo  spiega lo stato di sensibile sollievo che proviamo quando leggiamo per evadere. Leggere ci dà la possibilità di non occuparci dei nostri pensieri.

Però allora, si chiede, quando questi se ne vanno, che cosa rimane?

In realtà forse è proprio questa l'arte di scrivere storie, un'arte che non smette di affascinare, che non smette di esserci indispensabile. Le storie ci sono perché siamo affamati di storie. E queste come ovvio, variano; non potremmo scrivere oggi un personaggio come Madame Bovary, ma questa donna che ama l’amore è ormai parte di noi, come una prozia di cui ci affascina e tormenta la vicenda umana. No, a mio avviso non viene meno il nostro desiderio di entrare nella vita degli altri. Ci sono due scrittori contemporanei assai diversi tra loro che sono anche grandi lettori e ci parlano della funzione delle storie. Il primo, Stephen King  in “On writing. Autobiografia di un mestiere”.

Il secondo, Michel Houellebecq in Annientare. Entrambi ricorrono allo stesso esempio. Sottolineano la funzione della lettura nei momenti più dolorosi dell’esistenza. Hai una grave malattia e ti trovi nella sala d'attesa del medico. Sei inesorabilmente solo. Devi affrontare un percorso particolarmente difficile, sei in ansia per un verdetto che riguarda un tuo caro. Entrambi sottolineano che in questi momenti della vita, anche se non solo in questi, le storie sono nostre amiche. Forse anche dei salva vita. Un libro si porta ovunque e in un attimo quando lo apri ti porta via, aiutandoti a resistere.  E questo lo fai con grande consapevolezza solo se già sai la virtù terapeutica delle storie. Perché non solo il dolore fisico è una malattia in sé, ma anche quello psichico. E per questo servono sempre nuove storie.

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (Aracne 2020).

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