I cortili condominiali, fino alla fine degli anni ‘70, erano i luoghi deputati all’aggregazione e ai giochi dei bambini.
In Sicilia, fare curtigghiu è un’abitudine antichissima ed è “l’arte” del chiacchiericcio. Curtigghiu deriva proprio dalla parola spagnola cortijo: il cortile interno o il pozzo luce. Era quella parte dell’edificio che aveva la funzione di portare luce e aria alle porzioni del palazzo non affacciate sul lato nobile o su strada.
Era il luogo per trovarsi e chiacchierare indisturbati.
I Baby Boomers (i nati tra il 1945 e il 1965) e la successiva Generazione X (i nati tra il 1965 ed il 1980) sanno cosa voglia dire: “giocare in cortile”.
Fino a quegli anni, gli alunni uscivano da scuola alla una. Pranzavano a casa (con i genitori, almeno uno dei due, o con i nonni). Finiti i compiti, armati di gessetto e sassolini (indispensabili per giocare a mondo o a campana) andavano in cortile a divertirsi. Si conoscevano, diventavano amici.
Ogni condominio sanciva regole, divieti e orari di gioco.
Prima di iniziare a giocare ci si metteva in cerchio per la conta, le cui sillabe cantilenate decretavano ruoli e consegne.
I cortili si animavano di colori, profumi di merende, allegria e vivacità.
In alcuni cortili c’era ampio spazio per fare giri in bicicletta, corse sui pattini a rotelle, evoluzioni con gli skateboard e, tra divertimenti, risate, litigi, pianti e pace fatta, il pomeriggio passava.
Scaduto il tempo di gioco si tornava a quello delle responsabilità in casa: dall’igiene personale alle faccende domestiche.
Dopo un buon bagno si andava a fare la spesa, o si aiutavano i genitori in altre commissioni.
Con l’entrata in vigore del “tempo pieno”, cioè il prolungamento dell’orario scolastico fino a metà pomeriggio (circa trent’anni fa), l’usanza dei giochi in cortile è andata perduta.
Dalla generazione Y, o Millenial (cioè i nati tra il 1980 e il 2000) alla più recente Generazione Zeta gli alunni rientravano e rientrano a casa (con licenza del presente, nonostante le scuole di ogni ordine e grado siano temporaneamente chiuse per contrastare la diffusione della pandemia da nuovo coronavirus) nel tardo pomeriggio; taluni non prima della lezione di nuoto, del corso di danza, di calcio, di Judo, Karate, musica o canto!
Rincasando tardi non hanno la possibilità ma nemmeno la voglia di giocare in cortile con i coetanei residenti nello stesso palazzo. Molti non si conoscono nemmeno.
Nei cortili non si sentono più gli strilli dei bambini, i rimbrotti del custode (per le pallonate sulle aiuole e sulle saracinesche), i richiami delle mamme.
Negli anni, nei cortili, sui cortili, è calato il silenzio, un silenzio che oggi ci sembra ancor più greve.
Costretti a non uscire per la lotta contro la pandemia da nuovo coronavirus, in questa dimensione coercitiva, mai provata prima, il cortile di casa può sembrare bello come un campo fiorito e sembra contenere tutto il cielo dentro un perimetro.
È la voglia di ritrovare la libertà che ci fa sognare rincorse nel vento con aeroplani di cartone, o inseguimenti di macchine a pedali, proprio lì tra le fughe del cemento.
Quando la nostra libertà di movimento viene limitata, quando veniamo privati anche della possibilità di fare “due passi”, avvertiamo nostalgia anche per le più piccole abitudini negate e inconciliabili (con la situazione contingente) e anche per quello che in condizioni normali consideriamo un banalissimo “giretto sotto casa” per fare la spesa.
Costretti dentro le nostre quattro mura, diamo un valore diverso a ciò che abbiamo ma non possiamo usare.
Il cortile vuoto è solo un esempio e può essere metafora del tempo perso, delle amicizie andate, delle abitudini corrotte dall’abuso del digitale.
Dobbiamo imparare a riconoscere il valore di ciò che ci circonda quando possiamo goderne, gioirne e trarne beneficio.
Quando il necessario isolamento sarà terminato, potremmo riconsiderare la funzione aggregante dei cortili, sia per i più piccoli che per gli anziani, come luogo di condivisione e di conoscenza, utile anche ai rapporti di buon vicinato.