La dialettica televisiva contemporanea – Intervista al critico d’arte Marco Eugenio Di Giandomenico

31 Dicembre 2024



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Una prima domanda che apparentemente esula dal suo campo specifico di critico d’arte: cosa ne pensa della dialettica televisiva contemporanea?

La ‘dialettica’, al tempo dei filosofi dell’antica Grecia, coincide con la ‘logica’, nel senso che si tratta di termini usati correntemente quasi come sinonimi. Solo con Kant, la prima, quale “arte sofistica della disputa”, acquisisce una connotazione per così dire deteriore rispetto alla seconda.

In realtà, se la logica ha necessariamente a che fare con la ‘pura ragione’ e quindi con oggetti determinabili a priori, la seconda ha una connotazione empirica ineludibile, nasce dal confronto di individualità differenti che cercano ognuna di avere ragione, di imporre la propria opinione o punto di vista.

Sul punto è interessante la riflessione di Aristotele che distingue la ‘logica’, che porta alle conclusioni vere (quelle apodittiche), dalla ‘dialettica’, che invece porta a conclusioni considerate vere, al di là dalla circostanza che siano vere realmente. Continua argomentando sulle conclusioni ‘eristiche’, che hanno una forma per così dire giusta, ma con proposizioni che sembrano vere (ma non lo sono), nonché su quelle ‘sofistiche’, che hanno una forma che sembra vera, pur essendo in realtà falsa.

L’impostazione aristotelica vuole che la logica costituisca il fondamento della dialettica, e che anzi la prepari. La prima dovrebbe occuparsi della pura forma delle proposizioni e la seconda della loro sostanza o materia, del contenuto. Insomma la dialettica dovrebbe servire a ritrovare la verità. In tal senso sono termini per secoli con significati coincidenti, in quanto l’una presuppone l’altra, ovvero l’una è per così dire a servizio dell’altra. É una simbiosi che naufraga in una sinonimia concettuale, che nella modernità declina inevitabilmente.

La dialettica contemporanea televisiva – e mi riferisco ai vari programmi di tribuna politica, talk show, etc. – è senza dubbio una ‘dialettica eristica’, per usare un’espressione cara a Schopenhauer, in quanto non mira alla realtà oggettiva, bensì solo all’apparenza della stessa. L’obiettivo è solo quello di ottenere ragione ‘per fas et nefas’ (a ragione o a torto), come direbbero i latini.

I confronti dialettici pubblici hanno acquisito una progressiva teatralità, si esauriscono in performance spettacolistiche che intrattengono lo spettatore, portandolo spesso a convinzioni errate (anche se apparentemente verosimili), laddove il movente degli interlocutori trova la propria radice in una sostanziale disonestà ovvero nella mera vanità di prevaricazione per banali esigenze reputazionali.

La modalità relazionale adottata è sempre più quella che Schopenhauer individua come il trentottesimo stratagemma per ottenere ragione: viene abbandonato il tema del contendere declinando nell’offesa personale dell’avversario. Impera l’aggressività, a volte non solo verbale, tesa a una prevaricazione dimentica dell’oggetto puro di confronto. Si fa leva su sentimenti primari di orgoglio e di autoaffermazione per raggiungere il risultato dell’ottenere la ragione.

D’altro canto, anche nella TV di Stato, conta l’audience, o meglio lo share, che sempre più risulta massimizzato dallo scollamento tra la (presunta) statura culturale e/o istituzionale dei partecipanti al dibattito e i loro modi asciutti e oltraggiosi che la contraddicono. L’obiettivo finale di una edificazione dello spettatore si scolora progressivamente a vantaggio dei numeri di ascolto, che rendono merito a chi sponsorizza i vari programmi.

Nel campo dell’arte il discorso è più complesso.

 

Come si sviluppa la dialettica contemporanea nell’arte?

Su questa domanda mi viene subito in mente la costruzione teorica di Adorno relativa all’industria culturale, che omologa ogni forma di arte, superiore e inferiore (con tutti i limiti di tale categorizzazione, che non ritengo di affrontare in questa sede!), tradendo differenziazioni sopravvissute per millenni con la conseguente negazione dei relativi caratteri specifici e autonomi.

La cosiddetta arte leggera, nel momento in cui si trasforma in prodotto industriale, assume la forma patologica del mero intrattenimento narcotico, che contribuisce al processo di regressione della coscienza individuale nella direzione di una generalizzata fruizione estetica sempre più passiva.

L’arte, superiore e inferiore, viene scollata dal proprio valore artistico e trasformata in mero prodotto, la cui distribuzione è ormai orientata esclusivamente alle richieste del mercato. L’industria culturale ingloba in sé quelle che un tempo erano distinte e autonome forme di cultura, al punto da disperdere la loro coscienza.

Evidentemente lo sviluppo incessante delle nuove tecnologie costituisce un volano per questa profonda e progressiva trasformazione del mondo dell’arte ad opera delle industrie culturali, contraddicendo anche la connotazione positiva fornita da Benjamin che vede nella riproducibilità tecnica una via di superamento delle cosiddette opere d’arte ‘auratiche’, vale a dire quelle opere il cui valore è intrinsecamente fondato su qualcosa (aura), che le rende uniche e irriproducibili.

La visione benjaminiana si sofferma sulla circostanza che l’arte riproducibile diventa fruibile dalla collettività, straripando dalle cerchie elitarie e acquisendo un’accessibilità senza restrizioni per una massa che può finalmente utilizzarla anche a suo favore.

Per Benjamin, la distruzione dell’aura, che rende l’arte un fenomeno elitario, esclusivo delle classi privilegiate, avvicina la coscienza degli individui ordinari alle pratiche artistiche, e in tale contesto i nuovi media non sono altro che gli strumenti della loro emancipazione.

In realtà le nuove tecnologie non fanno che aumentare la pervasività delle industrie culturali, non sono strumenti di liberazione, bensì di dominio.

L’arte, adattatasi al mercato e allo ‘smercio’, diventa un mezzo di persuasione, una sorta di veicolo propagandistico facilmente manipolabile dalle dinamiche sociali di dominio, contraddicendo la sua stessa natura intrinseca.

D’altro canto un’arte che non si vende cessa di esistere sotto vari aspetti. Non viene alimentato il processo creativo primario e i fruitori sono edificati al ribasso verso una (non) arte perorata dalle dinamiche commerciali dell’industria culturale.

In tale contesto assume una responsabilità epocale la comunicazione contemporanea, che grazie alle nuove tecnologie manipola il fruitore, agendo su una falsa percezione di valore artistico purtroppo sempre più ignorata dai critici d’arte tesi a rimbalzarsi vicendevolmente incarichi consulenziali scevri da un approccio interpretativo integro e puro con sempre più evidenti conflitti di interesse.

A ben vedere, anche nel mondo dell’arte si può parlare schopenhaueriamente di una dialettica ‘eristica’, laddove tutti i player coinvolti (artisti, critici, galleristi, mercanti, case d’asta, etc.), avendo perduto nel tempo la coscienza del rispettivo ruolo per così dire professionale e senza dubbio sociale, non mirano a che ‘avere ragione’ e si tratta di una ‘ragione’ che asserve per lo più appetiti monetari e i connessi appetiti reputazionali.

D’altronde siamo nell’epoca della ipercomunicazione, come direbbe Byung-Chul Han, laddove il vero oggetto del desiderio è solo il consenso, il like/don’t like, con una progressiva irrilevanza del contenuto culturale alla base di tale consenso.

 

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Cristina Cattaneo Beretta

Cristina Cattaneo Beretta (ha aggiunto il nome della mamma al suo) (email) Laureata in filosofia ed in psicologia a Pavia, psicoterapeuta, dottore di ricerca in filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica, ha condotto studi sul linguaggio simbolico e il suo uso terapeutico (Cristina Cattaneo Il pozzo e la luna ed Aracne). Studia le esperienze di rinnovamento creativo e i processi amorosi, approfondendo in particolare il tema della dipendenza affettiva. Ha pubblicato con Francesco Alberoni: L’universo amoroso (Milano, 2017 ed. Jouvence), Amore mi come sei cambiato (2019 Milano, ed. Piemme Mondadori), L'amore e il tempo (la nave di Teseo 2020), 1989-2019 Il rinnovamento del mondo (La nave di teseo, 2021)

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