A differenza di quanto sostengono alcuni critici letterari, l’ultimo libro di Michel Houellebecq è un grande romanzo d’amore. Il protagonista Florent Claude, disgustato da tutto – persino dal suo stesso nome di battesimo che a suo dire non lo rappresenta – come un novello Mattia Pascal fugge da una vita che non lo soddisfa cominciando ad assumere un potente antidepressivo, diventando – proprio lui che era un erotomane – impotente a causa dei noti effetti collaterali di questo tipo di farmaci. Nella stagnazione artificiale del suo umore, tuttavia, affiorano visi di donna, specialmente di una, Camille, il cui fantasma mentale lo ossessiona. L’amore per lei e con lei, infatti, avrebbe potuto dar senso alla sua vita, lo avrebbe salvato da se stesso e da una società, quella occidentale, in pieno declino etico e sociale.
La maggior parte dei critici, come accade in questo periodo di contenzioso politico a oltranza, si è soffermato quasi unicamente, sulle tematiche sociali affrontate.
Non si può infatti di certo ignorare una buona parte del romanzo ambientata nella Normandia agricola, devastata dagli effetti della globalizzazione, dove scoppia una rivolta che sfocia nel sangue. Ma questo è lo sfondo storico, uno sfondo peraltro utile al tema di fondo, essenzialmente amoroso. Difatti anche l’affascinante personaggio di Aymeric, un nobile decaduto che lotta per i diritti degli agricoltori, sembra una sorta di Athos di Dumas , è avvilito ed è pronto alla morte perché ha perso la sua donna, che ha scelto un altro, e i suoi figli.
Certo: è un romanzo che racconta la contemporaneità e per questo ha fatto tanto discutere: racconta in modo profetico le proteste dei gilet gialli nelle periferie, della crisi economica e di questa magica pillolina il Captorix che testimonia la diffusione degli antidepressivi in continuo aumento in una società dove diventa sempre più preponderante la tendenza all’ inazione, ai facili piaceri della carne e della tavola, e al lamento.
Florent ha avuto almeno due occasioni per essere felice, ma non ha creduto pienamente alla forza dell'amore. Prima con Kate, l’amore degli anni universitari, sprizzante di intelligenza e di stimoli, lasciata andare così, senza nemmeno provare a fermarla con un virile determinazione. Ma soprattutto con Camille, la splendida, fresca, giovane Camille, che ricorre soprattutto nell’ultima parte del libro come un miraggio, una mancata occasione di felicità, un motivo di vita. Camille lo aveva portato in un tipo di vita nuovo, pieno di fascini inaspettati, in cinque anni di pura felicità in cui ogni tanto aveva avuto l’impulso di chiederle di diventare la sua donna, di lasciare un lavoro che non le piaceva più, probabilmente di sposarlo. Ma non l’aveva fatto perché, come uomo moderno “Non ero stato formattato per una simile proposta, non faceva parte del mio software”
Poi “per un bel culetto da nera” finisce tutto. Un’attrazione momentanea per una donna, la cui descrizione si limita quasi solo a questo particolare corporeo, fa finire tutto. Camille se ne accorge. Il patto di fedeltà è rotto. Florent ha perso il suo treno per il paradiso, senza sapere che sarebbe stato l’ultimo.
Forse perché questo non è più il periodo dei Patti d’Amore: è il periodo della libertà esasperata, una libertà figlia delle mode e del consumismo, in un concetto di supermercato del sesso per cui “ogni lasciata è persa” e tutto sembra essere a scadenza, come lo yogurt.
Il dramma di Florent è esploso nel disincanto di una relazione con una giapponese - le giapponesi chissa perché sono spesso rappresentate come mantidi “rovina maschi” , da tempi di Yoko Ono all’esclamazione di Bridget Jones “donne giapponesi razza crudele” - che, scandalo per i “benleggenti” è una segreta libertina che pratica gangbang e persino sesso canino (pratiche non rare nel lunapark del sesso moderno).
Florent cerca e trova Camille nel suo piccolo borgo normanno, spiandola da lontano per settimana, m scopre che è diventata una donna adulta che ha persino avuto un figlio da single. Che ci vorrebbe a bussare alla sua porta? Ma Florent sbaglia ancora. Perde ancora il treno per la felicità. Nel suo delirio punta da lontano un’arma da fuoco contro il figlio di Camille. Vuole recuperare l’amore perduto della giovinezza e non vuole condividerlo con nessuno. Ovviamente non schiaccia il grilletto e nessuno si accorge del suo rozzo tentativo, ma ancora una volta scappa e torna ad abbruttirsi in un appartamento asettico di Parigi con la sua magica pastiglia anti depressiva, in attesa di trovare il coraggio di morire.
Ma un’altra figura di donna galleggia bellissima tra le righe, come un refrain: la giovanissima castana della stazione di servizio di El Alquiàn, incontrata per pochi istanti e lasciata anch’essa sfuggire. È una novella Nausicaa che con la sua soavità non rappresenta assolutamente il sesso – viaggia in coppia con un’amica sensuale che però non sembra attirare il nuovo Florent - ma una mondo estremamente femminile che potrebbe redimerlo. Il richiamo a Proust è dichiarato, quando citandolo, afferma che nulla al mondo ha importanza salvo “leggeri amori con giovani donne in fiore”.
E’ molto significativo che Florent desideri ammazzare l’unico bambino del libro. Dal punto di vista simbolico potrebbe significare che l’occidente oramai è talmente poco fecondo (non solo a livello demografico, ma di slancio vitale e intellettuale) e senza futuro che vede d cattivo occhio persino la nascita di un figlio. L’antidepressivo, inoltre, rende impotenti e blocca la riproduzione, il desiderio, l’azione.
In sostanza il libro è la cronaca di un fallimento d’amore, di un arrestarsi davanti alla sua istituzionalizzazione, che avrebbe potuto trasformarlo in un movimento a due: forte, propulsivo, invincibile, fecondo e felice. Houellebecq non è così cinico come lo dipingono: la sua storia non è nichilista, anzi, contiene, per contrasto, un forte insegnamento morale e sentimentale.