Abbiamo incontrato Pino Farinotti, critico, scrittore e docente universitario e gli abbiamo chiesto quali sono le sfide più importanti che ci si presentano oggi.
Per prima cosa va abbattuto il divisismo. L’attitudine italiana di essere l’un contro l’altro armati. Poi va sconfessato l’ossessione puerile di chi crede di detenere il primato morale, la presunzione di poter giudicare il bene e il male. La sinistra in questi anni ha dimostrato che si può vivere e comandare anche senza idee né idealità, bastava quella arroganza, ma ha finito per annoiare tutti, in fondo per tradirsi. L’insistenza sul ritorno del fascismo e quindi sull’insanabile divisismo è l’evidenza della latitanza delle idee. Questo contenzioso inattuale è stato strumentalizzato dai paesi competitors, approfittando dell’opera di diffamazione interna dei media nazionali, dei social progressisti.
Ora è venuto il momento di ribadire gli assunti di valori che possono ridare fiducia e stabilità in una prospettiva nuova e diversa.
Un tema che è salito alla ribalta è quello del merito, lei cosa ne pensa?
E’ necessario, doveroso, rilevare, consacrare la necessità morale del merito, la ricchezza sociale ed esistenziale della diversità tra gli individui, smascherare l’egualitarismo che è un’illusione e una lusinga immorale perché contraddice la natura umana. Mettere a nudo gli alibi e gli strumenti di plagio del progressismo già sconfessato da tempo come nel folgorante quanto semplice giudizio del sindacalista Lec Walesa: “Il comunismo era immorale”.
Oggi tutti i paesi nominano senza tema la priorità del patriottismo. “Patriota” è un lemma pronunciato senza prudenza e sospetto. E’ un concetto semplice e forte. Evoca cose buone. In Italia i media e la scuola pare disdegnino la memoria storica e culturale, aspirano all’universale, a un indeterminato che non esiste. Si pensa alle genti lontane, meglio se lontanissime, per distogliere lo sguardo dal vicino più prossimo. È giunto il tempo di opporsi programmaticamente a questa stasi dell’anima. Ricordare che senza orgoglio di appartenenza nazionale non ci può essere orgoglio di sé. Attualizzare le fonti della nostra cultura e l’orgoglio della Ricostruzione del Dopoguerra.Ricordare che un paese contadino è riuscito in due decenni a trasformarsi in un paese terziario: 1972, gli impiegati superarono per numero gli operai.
Ripartire dall’articolo 34 della Costituzione: “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi […]”.
E la cultura?
Per troppo tempo la cultura non di sinistra è stata ostracizzata, umiliata da una censura diffusa considerata quasi un ministero della verità, tacitata dal “terrorismo dell’indignazione”. Occorre procedere secondo quella che potremmo chiamare “reconquista”. Mi concedo un’evocazione suggestiva, la riconquista dei territori musulmani da parte dei regni cristiani fra l’ottavo e il quindicesimo secolo.
Gli strumenti e i valori ci sono tutti. Vanno estratti dalla storia. Sono concetti chiari e semplici come il ritrovare un repertorio semantico, richiamare in vita le parole di ogni fondamento: libertà, intraprendenza, merito, bellezza, dignità, rispetto, comunità, interesse nazionale.
Da dove iniziare?
Dalla comunicazione, dai media, che sono il luogo dell’esistente più reale della realtà. Dalla scuola. Territorio occupato tradizionalmente dell’intellighenzia, dall’autoproclamato primato morale, infine dall’egualitarismo letterario. Per sapere cosa saremo domani basta vedere cosa e come si studia oggi nelle scuole. L’ipotesi di Don Milani era che la scuola non servisse a “produrre una nuova classe dirigente, ma una massa cosciente”, oggi i nostri istituti didattici sono sconsolatamente ultimi in ogni confronto con i paesi occidentali.
Crediamo all’unicità della grandezza dell’opera umana che stimola ed educa ogni soggettività.
E poi ci sono i valori, lei quale tiene in maggior conto?
L’esempio, il modello, la guida sono ancora la stella polare con cui orientarsi nel tempo della miseria didattica e dello sradicamento. Infine, dopo tanto pensiero debole e alibi consolatori riproponiamo il valore del coraggio. Il coraggio, fisico e morale che occorre nell’affrontare temi così importanti, storici ed ecumenici. Dando anche una dimensione del coraggio. Che deve essere quello della verità, della ricerca del vero, di dire la verità, di vivere nella dignità, nella misura e nel senso buono. E poi, sul podio dei valori e delle revisioni, appunto, il merito. Il coraggio è la stessa possibilità di dare inizio alle cose, è la volontà di dominare gli eventi senza averne paura, di restare umani dinnanzi al dominio tecnologico all’A.I. ai più impersonali apparati sociali e al riaffacciarsi del conflitto globale.