(Ripubblichiamo il racconto completo, pubblicato in tre parti il 28, 29, 30 dicembre 2019)
Il passaggio dallo stato quotidiano allo stato incantato dell’innamoramento spesso si esprime attraverso simboli e visioni fugaci, simili a presagi, oltre che in poesia e in musica. Ma perché questo avviene? E come avviene il passaggio tra i due piani. Riporto il resoconto di una donna.
"Già da qualche anno avevo conosciuto un uomo bello, gentile, sensibile che era fidanzato con una mia amica per cui non lo avevo visto come un potenziale amore. Quindi non lasciai indugiare la mia fantasia su di lui.
Diversi mesi dopo però feci una terribile esperienza. Ero uscita di casa per andare al lavoro e guidavo distrattamente, pensando a un problema che mi angustiava. Improvvisamente mi trovai davanti una bicicletta e sterzai per evitare la persona che stava tagliandomi la strada finendo contro un albero. Uscii illesa dall'incidente e anche il ciclista, ma se non ci fosse stata quella pianta io sarei finita in un dirupo: avevo rischiato la vita. Quell’evento che era avvenuto in un istante causò una rottura della mia percezione del tempo. Mi accorsi, infatti, già pochi minuti dopo, che la mia percezione del tempo era mutata. D'improvviso sentivo sulla pelle quanto tempo era già passato e ora sapevo che il tempo a mia disposizione, quello che doveva ancora passare era contato. Dopo questa esperienza di vicinanza con la morte mi accorsi che stavo rimandando quello che era indispensabile: la realizzazione della mia vita.
Iniziai a pensare in modo ossessivo a una cosa sola, mi chiedevo: se dovessi morire oggi la mia vita avrebbe avuto significato? Potrei dire ho vissuto? La risposta che mi davo era incerta. Si, avevo fatto quello che gli altri mi chiedevano, mi ero adattata; avevo fatto cose buone o normali, ma non potevo dire certo che avevo vissuto. Per paura di non essere normale mi ero adattata a una vita che ora non riconoscevo. Da un certo punto di vita avevo vissuto ma non come io avevo desiderato intensamente fare a quindici, sedici anni. Non solo non avevo seguito la mia vocazione, ma non avevo vissuto l’amore, l’amore reciproco, almeno come io immaginavo dovesse essere possibile. Avevo provato l’intensità dell’innamoramento ma mai un mio innamoramento profondo era avvenuto in coincidenza con colui che amavo. Avevo amato qualcuno che non mi amava, poi ero stata amata da due uomini che non avevo amato. E anche ora... l'uomo che stava con me aveva tante qualità, ma non lo amavo. Ma lo stesso era accaduto a me quando mi ero innamorata: più volte avevo pensato: è lui, è lui che aspettavo e poi scoprivo che ero io ad avergli attribuito caratteristiche che non possedeva. Soprattutto lui non le attribuiva a me.
Di un fatto però mi ero accorta che era tanto più bello amare che essere amati, ma tanto più drammatico. Ti trovavi di colpo come una stupenda tavola imbandita a cui la persona per cui l’avevi preparata non voleva sedere. Ma eri così ricca e piena di cose da dare e questo era in sé un piacere incredibile. Essere amata invece era qualcosa di ovvio e noioso. Solo ora mi accorgevo che non avevo mai provato l'amore bilaterale.
Solo ora, sfiorata dalla morte mi ponevo domande essenziali. E di fronte a queste domande, non potevo che rispondere che avevo accettato il meno, l’ordinario, il quotidiano. Avevo accettato di vivere nella pianura, di fare come tutti, di stare nel gregge. Ero rimasta a un livello che non aveva alcun collegamento con quella dimensione, con quelle altezze elevate, le uniche nelle quali io mi sentivo risplendente, riunita all’assoluto, sempre vivente, accanto allo spirito infinito. La mia mente ordinaria, la mia vita ordinaria avevano vinto, perché sentivo il pericolo di penetrare da sola in quei mondi che da luminosi potevano d'un tratto diventare oscuri, senza l’anima di colui che amavo per mano. Avevo accettato l’ordinario per evitare rischi, mi dicevo, perché avevo pensato che non sarebbe mai stato possibile il vero incontro col destino.
E se invece lo fosse stato, possibile? ...
In quel momento quello che avevo fatto della mia vita mi sembrò una resa inaccettabile. Avevo dato via la parte luminosa e tenuto quella opaca. Avevo dato via l’opera d’arte e tenuto le riproduzioni. Era la vita che si era smarrita, ma io ero viva, ancora. Avevo ricevuto un segnale, una sollecitazione, un richiamo.
Così pensavo tra me e da quel momento tutto mi divenne estraneo: la vita che facevo, i colleghi, le routine con gli amici, i luoghi, i parenti, i cibi. Tutto era insapore. Non solo, ma questa esperienza si ricollegava al passato: tutto era stato sempre insapore. La mia strada non era quella e neppure la mia casa, vi ero stata per paura, perché non sapevo come portare nel mondo quello che avevo dentro. Ma di fronte alla morte vera capivo il vero rischio. Di fronte alla possibilità concreta di non aver cercato fino in fondo di vivere, ma di essermi arresa prima, la paura impallidiva. Di fronte a una paura più grande, le piccole sbiadiscono. Ora avevo quella di morire senza avere mai vissuto.
Nel giro di pochi mesi iniziarono ad entrare nuove cose nella mia via: mi buttai in studi e ricerche, io che sempre ero stata un po’ pigra ero ora come un bambino goloso in una pasticceria artigianale. Nulla mi bastava. Volevo conoscere, imparare, forgiarmi. Ricordo una nuova determinazione, un coraggio e un nuovo agire. Sotto la pressione di una nuova volontà ostacoli prima insormontabili si scioglievano e io avanzavo.
Tutto questo lavoro costituiva la mia vera vita, mentre la vita falsa proseguiva nello stesso modo: il lavoro, le mie reti sociali e, insomma la mia facciata pubblica.
Ma dentro di me qualcosa si era risvegliato. Il tempo si era rotto ed ero entrata in un tempo nuovo. Quello di chi conosce la preziosità del tempo. Avevo capito che ogni secondo al quale mi trovavo di fronte era splendente come l’oro. Non c’era tutto quel tempo al futuro, c’era solo il presente.
C’era allora sempre quel ragazzo che frequentavo da qualche anno. Sin dal primo momento in cui ci eravamo incontrati, ci eravamo riconosciuti. Non avevamo detto nulla, ma era come se un filo d’oro ci unisse. Aveva un aria da fanciullo, era goffo e bello al tempo stesso. E ora era libero.
E in questo particolare momento di vita, nessuno intorno a me aveva colto quello che io stavo vivendo, ma lui si. Lui sentiva quello che stava avvenendo in me e io sentivo che lui sentiva. Certo, sapeva come tutti che io avevo avuto a che fare con quella parola: morte. Ma fu qualcosa di più che lo spinse a chiedermi di uscire, e non lo aveva mai fatto. “Prima” sapeva che prima gli avrei detto di no.
Invece la mia bocca si aprì e dissi di si. Quando quella sera mi stringeva estaticamente tra la sue braccia, come se avesse ricevuto un dono immenso, sentii che quel nostro amore era vivo e presente. Era un fatto. Un fatto spirituale. Anche se noi usavamo quello che di umano avevamo, le mani le labbra per sentirci, quello che in realtà cercavamo era di sentire sotto alle dita la vita dell’altro, la sua verità essenziale. Ed essa ci arrivava squarciando tutti i veli, si rivelava sotto alle nostre dita. Togliemmo i vestiti per arrivare a quell’essenzialità nascosta. Ci toglievamo di dosso la cultura, la normalità, il quotidiano, la banalità la recita, la maschera. Tutti i pesi. Diventavamo nudi liberi, essenziali, innocenti.
Capii quanto stupido sia quel misurare se stesse cercando i centimetri di cellulite, i millimetri di pancia. Il mio e il suo corpo erano divini, perfetti risplendenti. Lui mi guardava come se fosse Venere nuda davanti ai suoi occhi e io così mi sentivo.
Qualche giorno dopo venne a casa mia. Questo passo segnava il vero inizio del nostro amore. Tutto di quella sera, di quella notte è rimasto incastonato come un nucleo di tempo che si è staccato dal resto e ha formato un diamante di tempo. Era entrato col suo passo felpato e aveva sorriso. Teneva in mano una mela, grande rossa profumatissima, fragrante.
Sentii il profumo della mela spargersi nella stanza ed io mi resi conto che era proprio ciò che desideravo maggiormente in quel momento. Non c’era altro che avrei voluto mangiare. Come avevo fatto a non sentirlo prima? Sentii l’acquolina in bocca e iniziai a morderla con voracità. Sentivo a ogni morso la polpa che scrocchiava rilasciando un liquido fresco, di un sapore buonissimo, celestiale. La mela era dolce e croccante, come mai nessuna mela era stata e sarebbe mai stata in seguito.
Poi suonai al mio flauto, una musica stupenda, la colonna sonora di un film di una donna che aveva vissuto un’esperienza simile alla mia. Una musica che ancora oggi suono a distanza di tanti anni e mi riporta a quella sera. E, suonando, mi accorgevo che quel suono perfetto che miracolosamente ne usciva usciva esprimeva l’altissimo canto del mio corpo e del mio cuore. Quella musica era me stessa diventata suono.
Ma come può essere che una mela, una normale mela mi apparisse in una visione trasfigurante?
Come era possibile che quella mela, quella semplice mela divenisse improvvisamente bellissima stupenda, un frutto meraviglioso come quello che vide Eva bel paradiso Terrestre ? E vidi lui nello stesso modo trasfigurato. E quello che per anni era rimasto come amore latente, inibito, come possibile amore divenne amore manifesto , divenne bacio, abbraccio fusione.. E poi per tutta quella notte mentre facevamo l’amore, incantata ho sento nitidamente suonare una orchestra. La udivo come se provenisse dall’esterno, ma lui non sentiva nulla. Sentivo i violini i i violoncelli e le trombe e i flauti. Un’intera orchestra faceva da sottofondo alle carezze ai baci allo stringersi. Per esprimersi questo amore doveva trasformarsi incarnarsi in musica. E questo era accaduto.
Quando nella mia casa è entrato l’uomo che io già amavo senza saperlo, che aspettavo senza volerlo, la consapevolezza di questo amore non mi si è presentata in parole in prosa, ma come una meravigliosa mela, la mela divina delle origini. Ed essa rappresentava ogni cosa, il mondo che nasce dall’amore, il fiore divino simbolo della creazione e della pienezza. E ancora ci furono gli abbracci intensi ripetuti, in un entrare ritmico ripetuto l’uno nell’alto fondendosi e poi musica io stessa che suonavo ed un intera orchestra che ci accompagnava. Il passaggio dallo stato quotidiano allo stato straordinario dello stato nascente, la fuoruscita dal mondo ordinario e l’ingresso nel paradiso che aveva spalancato le sue porte davanti a noi ci è apparso come la mela divina che fonte di infinita e perenne felicita, non una parola ma un simbolo, non un elaborato dalla nostra mente quotidiana, ma dalla parte delle nostra mente che in certi momenti in certi periodi di grazia diventa immensamente più potente e capace di vedere di aprirsi, di amare a creare e deve usare il linguaggio adatto al suo mutato stato.
Dal di fuori poteva apparire che io stessi solo fuggendo. Ma era diverso per me. Stavo vivendo; mi ero presa il permesso, senza chiederlo ad alcuno, per la prima volta, di rubare la marmellata e infilare le dita nella nutella. Succhiarle scompostamente, queste dita, leccare le labbra di un uomo che mi desiderava intensamente e che si, mi amava veramente e totalmente. Scoprire il piacere intenso e profondo dell’amore…. tuffarsi in quel piacere senza pensare a nulla, ricordare nulla. Alcuni mesi dopo l’incantesimo continuava: sfioravo la sua pelle sotto i raggi della luna, era estate. La sua pelle bianchissima vicino alla mia olivastra sembrava fatta di luna a sua volta. Mi domandavo se provenisse da qualche pianeta lontano. Era un uomo così strano in tutto e assolutamente a suo agio nell’amore. E poi gli piacevo tanto, non di quel piacere mentale o ragionato. Gli piaceva il mio corpo e la mia pelle, il mio odore, le mie risate, la mia interezza, i miei pensieri di colpo seri; le mie contraddizioni, rimaneva incantato a seguire i percorsi delle mie vene sotto la pelle.
Come si può chiamare questo? con una sola parola: vita. Vita piena di vita e ancora vita traboccante di vita. quella vita che talvolta proviamo solo da bambini.
Anch’io del resto ero una bambina come lui: appena ci ritrovavamo da soli, nei posti più impensati dei quali sanno solo gli amanti, mi buttavo su di lui con quell’innocenza e impudicizia che hanno le ragazze selvatiche che non pensano ad apparire belle o all’immagine che l’altro si farà di loro. Era la mia vita, la nostra e questo mi bastava. La mia vita era di sera e questo era tutto. Non mi atteggiavo e non calcolavo. Non cercavo di sedurlo, parola oscena. Noi eravamo come due pianeti uniti da un’energia di cui non sapevamo. Per anni ci eravamo annusati in mezzo a tanta gente. Per anni avevo sentito che seguiva come un lupo il mio odore. Io sentivo il suo a distanza – si perché lui era un lupo con zampe di lupo e odorato selvatico.
E qui avviene veramente un mutamento radicale del tempo. Mentre nella vita quotidiana il tempo è continuo o alternato dalla percezione del suo passare. Io lo chiamerei a questo punto il tempo della prosa. Nell’esperienza estatica della rivelazione invece il tempo non fluisce più. Diventa abbraccio danza o, come nel caso della mela, vivo nella visione dell’archetipo, del simbolo, del “numinoso” e poi si esprime diventando dominio poetico e musicale del tempo.
Quell'amore che era nato così, favorito dalla stretta vicinanza della morte durò molto a lungo e dura anche oggi, forse perchè era davvero l'anima gemella, forse perchè mi ha ridato la cosa più preziosa: mi ha fatto ritrovare la vita. Da sola non sarei riuscita.