Parlare per disinnescare la spirale omicida-suicida

14 Luglio 2020



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"Se la tigre sapesse della sofferenza della gazzella, morirebbe di fame"

Wilfred R.Bion

 

Uccidere i propri figli per punire la moglie e poi suicidarsi gettandosi sotto un ponte: la storia di Mario Bressi, un tranquillo impiegato di Gessate che si stava separando e che ha deciso di strangolare i suoi due gemelli, invita a una domanda legittima. Cosa c'entra tutto questo con l'amore?

Come diceva Spinoza, "le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, ma vanno comprese". Ma quale forza oscura può spingere allora un uomo così lontano da un amore indissolubile, come quello per i propri figli? La soluzione di un dramma insostenibile può essere davvero la morte di tutti quanti? L'unica via di fuga è quella di portarseli via per sempre così da proteggerli da una vita senza quell'ideale di famiglia, lontano da quel progetto a cui erano state dedicate tutte le proprie energie?

Forse una parte arcaica e primitiva si è risvegliata in questo uomo e si è impossessata di lui? O, forse, è l'umana vendetta ad avere preso il sopravvento, mossa da un Super-io sadico e nefasto?

Gli istinti primordiali, davanti a una minaccia, possono innescare reazioni disumane. Ma, in questo caso, cosa ha costituito una minaccia tanto forte da indurre Bressi a una reazione così estrema e difficilmente comprensibile? L'isolamento lo ha fatto precipitare in una solitudine non solo devastante, ma anzitutto disumanizzante. E il "non-umano" ha avuto così il sopravvento. Riuscire a tollerare ciò che non è più controllabile, parlandone con un professionista o anche solo con un amico, avrebbe forse disinnescato la terribile spirale omicida-suicida?

L'angoscia di morte e di dissoluzione può spesso impossessarsi di chi vive la separazione o l'abbandono come una ferita mortale del Sè, a dire cioè che perdere l'Altro è come perdere Sé, e quindi niente ha più valore. È un fantasma potente e carico di forze distruttive primordiali. Come molti fantasmi però, se portati alla luce (Freud lo diceva già nel secolo scorso), possono dissolversi e, una volta compresi e addomesticati dalla coscienza, possono diventare una storia che si può anche raccontare.

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Claretta Ajmone

Clara Ajmone, psicologa clinica e psicoterapeuta, ha lavorato per più di trent'anni in ambito psichiatrico, nelle Strutture Territoriali e Ospedaliere del Servizio Sanitario Nazionale. Fino al 2009 è stata Responsabile della Struttura di Psicologia dell'Ospedale di Niguarda, dove ha svolto attività di Psicoterapia individuale, familiare, di coppia e di gruppo. È stata didatta e tutor per psicologi allievi di varie scuole di psicoterapia.

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