Abitare il confine

25 Marzo 2022



Abitare il confine
Abitare il confine

Terra di nessuno, terra contesa, terra abbandonata cinta da limiti invalicabili, enclave, principato, zona franca. Sono tutti esempi di confini. Non parlo di muri di cinta che delimitano delle zone o bloccano il passo. Le mura o certe soglie, sono delle porte di ingresso ed uscita da qualcosa. Quelle soglie sono attimi in cui non ci si sofferma, non ci si ferma. Si transita come allo scattare del verde si valica l’incrocio, oppure al passo, si lascia alle spalle una valle e si entra nel bacino idrografico di un’altra valle.

Le frontiere, sono un po’ come i passi di montagna, i valichi, gli attimi/soglia. Quando accade che in queste soglie ci si debba fermare, la natura di queste, cambia. Ricordo 50anni fa a Sopron, frontiera con la fu Yugoslavia, sostammo per 4 ore per controllo dei passaporti. Fu il vivere in una terra di nessuno, dove non ero più italiano ma non ero ancora nemmeno turista in ingresso nel patto di Varsavia, un confine esteso profondo fra occidente e mondo sovietico. Se avevo fame o dovevo andare in bagno dovevo sincerarmi di farlo nè in Italia nè in Yugoslavia. Lo dovevo fare in frontiera, in questo spazio sospeso. Ricordo Livigno, negli anni ’70 del secolo scorso.
Quando a Milano si faticava a trovar benzina a causa della crisi petrolifera, li a Livigno c’era sempre e costava molto poco. Ecco Livigno era (ed è) una zona franca, un confine fra Italia e Svizzera, che non è una linea di valico ma una estensione territoriale, dove si mangia, si dorme e ci si può anche divertire.

Mi pare che le soglie cessino d’essere confini, quando sono abitate, più o meno stabilmente, da persone. Possono essere turisti, ma anche -con meno comodità e maggior angoscia- da migranti e gente in fuga. Allora i confini diventano anche le stazioni ferroviarie dove c’è un treno sul quale si sale in un paese e scende in un altro mondo culturale e linguistico.

Stazioni nelle quali il mondo è un deposito di binari e treni, per giorni e giorni.

A Livigno, un bucolico mondi di prati, mucche e nevi.
A Sopron un assolato insieme di casermoni in cemento e gente annoiata dalla burocrazia e dall’afa, gente dall’aspetto gitano e animati da calma cortese. Come sarà la frontiera abitata, in questi giorni, fra Ucraina e Polonia? Certamente molto diversa ma sarà certo un luogo di incontro di linguaggi. Un luogo di dialoghi difficili, magari impossibili.

Ci sono poi frontiere disabitate, come la zona A ai tempi del disastro dell’ICMESA a Seveso, come Chernobyl, come Fukushima, come i campi minati. Sono frontiere invalicabili, perché saltarci dentro significa morire. Mi chiedo allora se tante frontiere abitate, per la nostra incapacità di praticare la difficile arte del dialogo (peraltro connaturata a qualsiasi linguaggio), noi le consideriamo invalicabili e quindi facciamo finta che siano disabitate (sicuramente disabitate dal nostro interesse). Penso alla striscia di Gaza, alla Transnistria. Infine ci sono frontiere estreme ma anch’esse abitate, nelle quali riposano le speranze della scienza; le stazioni spaziali, l’Antartide. Ne dimentico molte altre di zone abitate di confine, anche celebrate dal cinema.

Quei confini che si abitano di interessi comuni spesso di natura economica, diventano terre abitate da una cultura e con regole proprie. Ogni altro confine abitato da miseria, sfacelo o polarizzazioni culturali-religiose estreme, diventa una terra di pericolo.

La allontaniamo dai nostri dialoghi, dai nostri pensieri, perché abbiamo paura di restare contaminati da qualcosa che turberebbe la nostra tranquillità, come se varcando la soglia di un ascensore e premendo il bottone di un piano, non fossi più sicuri se le porte, si apriranno su un campo minato o su un El Dorado.

 

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