Il paziente “camaleonte” si manifesta in modo educato, empatico, apparentemente molto attento alle parole del terapeuta. Nello svolgersi del lavoro porta sempre esperienze interessanti, a volte drammatiche, a volte successi e miglioramenti del suo stato psicologico.
Il lavoro con il camaleonte si trasforma spesso in una telenovela , ma con risvolti imprevedibili , burrasche emozionali, laghi di tristezza, incubi in paesaggi gotici e improvvise avventure di sano perbenismo assuefatto nel buonsenso comune del ”così fan tutti”.
Quando esperienze reali creano finalmente l’inside terapeutico il camaleonte diventa grigio e silenzioso. Questo è il momento dove ogni terapeuta si frega le mani, non per malvagità ma perché finalmente la creaturina che prendeva tutti i colori dell’iride è sé stessa, non ha più bisogno di difendersi trasformandosi.
Il camaleonte, quando cambia colore, è comunque sé stesso, perché nessuna mosca scampa vicino a lui.
Lavorando con i sogni si crea uno spazio comune dove la coscienza si espande e il tempo si dilata. Due persone in una stanza emettono bolle luminose che viaggiano, anche il terapeuta diventa camaleonte, in una giungla colorata dove il pensiero è emozione e desiderio.
Nello spazio sognante tutto il reale diventa possibile e questo fabbrica le guarigioni “miracolose” quando i futuri possibili si manifestano.
A volte, quando il camaleonte arriva con un racconto straordinario, invece che elaborare con una sapiente interpretazione il tutto, un semplice “anch’io” serio e composto del terapeuta interrompe l’arcobaleno e la piccola creatura grigia mi ascolta.