Quid est veritas?

12 Aprile 2022



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In una conversazione virtuale su Facebook concernente un argomento politico di attualità, un contatto ha sostenuto in uno scambio verbale molto acceso: “Questa è la verità, fidati !”. Questa affermazione, non nuova sui social e nemmeno nella vita reale, ci ha fatto pensare a quanto sia importante il concetto di verità soprattutto in momenti cruciali della storia, come ad esempio la pandemia da Covid o la guerra in Ucraina.

Questa è la verità, fidati !

La decisione, in un dibattito, di schierarsi da una parte o da un’altra dipende da cosa crediamo che sia avvenuto, o che stia avvenendo, e se riteniamo che le persone che ci forniscono le informazioni (tramite contatto diretto oppure, oggi molto più spesso, attraverso i media e i social) dicano più o meno la verità. Decisione non facile, dato che si raggiunge dopo aver esaminato narrazioni diverse, a tal punto che non si sa più a chi credere, oppure in che percentuale credere a ognuno.

Quid est veritas è la domanda che Pilato pone a Gesù Cristo nella Vulgata, e precisamente nel Vangelo di Giovanni. “Che cos’è la verità?”  Precedentemente Gesù aveva affermato : “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità, ascolta la mia voce”.

La “domanda delle domande”, quella che dicono abbia contribuito a fare impazzire Nietzsche, nel Cristianesimo ha la sua risposta nella figura e nella dottrina di Gesù. Nel Corano in quella di Maometto, e in altre religioni quella del Buddha o di altre figure spirituali. La fede in questo caso è componente essenziale nel concetto di verità. Un patto di fiducia tra Dio e l’uomo, in sostanza.

Quello religioso può essere un primo approccio per rispondere alla domanda. Sicuramente è il più arcaico della storia dell’umanità, e forse anche il più sentito, il più viscerale.  Ve ne sono ovviamente tanti altri. Partiamo con il primo.

Analizzare l’etimologia della parola “verità” nelle lingue più diffuse può essere interessante per accorgersi di come il concetto cambi a seconda dell’idioma utilizzato.

In ebraico la parola verità si traduce con אמת‎ = emeth, che a sua volta ha origine dal  verbo ´aman, che significa fondamentalmente "essere solido, sicuro, degno ". Emeth è la parola incisa sulla fronte del Golem e che gli faceva prendere vita. Per privare il Golem di soffio vitale era sufficiente togliere la Alef iniziale ( che suona in questo caso come una e) ottenendo cosi "meth" che significa morte. Quando alla verità viene a mancare la lettera divina (Aleph), rimane solo la morte. Come nel confronto tra Gesù e Pilato. Come nel rapporto tra Dio e l'uomo. La lingua ebraica è una lingua legata allo spirito, al divino, e lo dimostra anche in questo caso.

Dal ceppo neolatino, il nostro, si può arrivare alla radice indoeuropea “ver”, che offre molte suggestioni e si è via via trasformata nel sanscrito vrtta = fatto, accadimento e varami = scelgo, voglio; nello zando-zoroastriano varen = fede; nel greco bretas, oggetto di culto, nel russo vera = fede, verit’ = credere, nel tedesco währen = preservare, e wehren = proibire.

In latino è interessante anche l'uso della radice nel verbo vereor = temere, rispettare ( legato al culto) e primo vere=  la primavera, in cui la radice ver rimanda ad un’altra ancora wers = fecondare e ancora al latino  verrus  = maschio della specie suina adibito alla riproduzione. In italiano il termine verdetto sposta l’attenzione sul piano giuridico e  morale.

La radice,  “ver” è potentissima e unisce concetti fecondi e sacri ( gli dei e soprattutto le dee della fecondità  sono state nelle epoche più lontane le prime divinità), spostandosi alla fine anche nella giurisprudenza in senso moderno che sappiamo "fondata" dagli antichi romani.

Passando al ceppo sassone, rappresentato dal noto termine inglese truth ,si risale alla radicetrýwþ” e al verbo proto germanico trewwj = essere in buona fede. Si arriva poi, per apparentamento, al termine tree=albero in inglese, e alla radice indoeuropea “dru” che significa anch’essa albero, ma con un riferimento alla quercia, ovvero con le qualità della forza e della robustezza. Questo ceppo linguistico suggerisce un concetto forse più rigido di verità, se vogliamo più semplice ma fondato sull'onestà, anche se l’interpretazione è sempre ardua.

Nella lingua russa il termine verità ha diverse espressioni. Le più comuni sono due:  istina e pravda ( come il celebre quotidiano). La prima deriva dalla radice es, in sanscrito as, la prima persona est’ nel paleoslavo, nel greco eimi, e serve a comporre la parola che descrive il respiro vitale as-u-s , di cui troviamo tracce nel latino os = bocca. Istina dunque è la verità che semplicemente è. Quella che respira, che ha il dono della vita. Non è quella percepita. Pravda invece significa sia verità sia giustizia. È formata dalla radice slavaprav”:  prjamoj pravyj retto o diritto. La versione etimologica più verosimile riporta  prav all’indoeuropeoprō -vos “, parente del latino probus = buono.  Pravda quindi è una verità etica e pratica, Istina è una verità ontologica.

Per le lingue scritte in ideogrammi è più difficile risalire alle origini. In Cina l’ideogramma: 真理  zhēn lǐ ha a che fare con il mettere in ordine, con il  “raddrizzare”, sistemare. Con la parola teoria e con il concetto di razionalità. Un concetto attivo che ha a che vedere con il meccanismo della mente che aggiusta la percezione del reale. Una categoria kantiana, si potrebbe azzardare

Aletheiaἀλήθεια significa principalmente disvelamento con l’alfa privativo e la radice lath, che significa dimenticare. Il Lete infatti è, nella mitologia greca, il fiume della dimenticanza dopo la morte. Λέθος significa anche oscuramento.  La Verità, quindi, per i greci è liberare il reale dall’oscuramento, togliere il velo e togliere anche dalla dimenticanza ( tema interessante nel tempo della cancel culture).

Spesso ἀλήθεια è stata contrapposta alla δόξα (doxa), che significa in genere opinione, credenza. Ha quindi un significato attivo da parte dell’uomo che per custodire la verità. deve togliere gli offuscamenti della mente e deve mantenere la memoria delle cose.

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Giusy Cafari Panico

Giusy Cafari Panico, caporedattrice (email), laureata in Scienze Politiche a indirizzo politico internazionale presso l’Università di Pavia, è studiosa di geopolitica e di cambiamenti nella società. Collabora come sceneggiatrice con una casa cinematografica di Roma, è regista di documentari e scrive testi per il teatro. Una sua pièce: “Amaldi l’Italiano” è stata rappresentata al Globe del CERN di Ginevra, con l’introduzione di Fabiola Gianotti. Scrittrice e poetessa, è direttrice di una collana editoriale di poesia e giurata di premi letterari internazionali. Il suo ultimo romanzo è “La fidanzata d’America” ( Castelvecchi, 2020).

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