Lo sguardo dell’amore

22 Febbraio 2022



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Lo sguardo, anzi "Gli occhi sono la porta dell’anima"

diceva Platone nel Fedro, ed è attraverso gli occhi che gli innamorati vedono rispecchiata quell’idea sovrasensibile di riconoscimento che li fa vibrare all’unisono durante lo stato nascente. Guardandosi l’un l’altro negli occhi stabiliscono la relazione più pura, immediata e reciproca che i sensi possano offrire loro. E non smetterebbero mai di guardarsi, non vorrebbero mai interrompere il contatto visivo, perché quel flusso che li unisce li fonde in una dimensione a-temporale, a-storica. Il presente si dilata e comprende in sé l’eterno.

Quando amiamo, amiamo innanzitutto con gli occhi: gli occhi denudano l’anima per scrutarla, per possederla ab ovo, per giungere alla fonte segreta dell’indicibile. Amedeo Modigliani disse a Jeanne che solo quando avesse conosciuto la sua anima avrebbe dipinto i suoi occhi.

Lo sguardo colma la distanza, negli innamorati permette l’instaurarsi di una relazione di intimità in cui l’altro è ammesso nelle zone più fragili e vulnerabili della nostra interiorità, nella nostra essenza. Ma all’inizio di una relazione noi oscilliamo continuamente tra il desiderio di lasciarci andare e il timore di rivelare troppo di noi. Allora è più frequente che il gioco degli sguardi sia discontinuo: abbassiamo o distogliamo lo sguardo per porre una barriera protettiva che limita e pone un confine alla nostra disponibilità, ad uno sguardo percepito come intrusivo o precoce. Quando siamo innamorati ecco che questa forma di pudore, questo abito simbolico lascia il posto al desiderio di incatenare lo sguardo a quello del nostro amato perché possa compiersi quella sintesi in cui i suoi e i nostri frammenti, le peculiarità e le differenze si possano armonizzare fino al compiersi della sinfonia più sublime.

Georg Simmel aggiungeva che non si può prendere con l’occhio senza dare, contemporaneamente, perché l’occhio svela all’altro l’anima che cerca di svelarlo. È dunque un rapporto di reciprocità. Il gioco di sguardi è un linguaggio primordiale, come quello del bambino piccolo con la madre. Non sapendo ancora esprimersi con le parole, il bambino usa il linguaggio corporeo e in particolare quello degli occhi per creare empatia con la madre, per comunicare con lei, e prova amore e gratificazione quando, attraverso il medesimo linguaggio, è ricambiato. Così accade agli innamorati. Nello stato nascente essi rinascono a nuova vita e sanno che quel primo linguaggio che avevano sperimentato alle origini è il più intimo, il più immediato, il più profondo. Anche le parole dolci, i vezzeggiativi, la ricerca ossessiva di un contatto fisico appartengono a questa sfera di significati. Ma non è una regressione all’infanzia. Perché gli innamorati operano un sincretismo simbolico – usano il precipitato storico della loro esperienza, le parole, le emozioni che solo uno sguardo può comunicare, per creare ex novo insieme un futuro che rappresenti il loro fine ultimo.

Infine gli occhi non si limitano a denudare l'altro e a denudare la propria anima, ma anche a rivestire simbolicamente l’innamorato di un’aura particolare, trasfigurandolo, rendendolo meraviglioso. Si dice che l’amore è cieco, perché è attraverso la trasfigurazione che l’amato diviene il più desiderabile, il più bello, l’unico ai nostri occhi. Lo ritroviamo nell’innamoramento ma anche nell’amore che dura, tra i giovani come tra gli anziani, che restano attratti dal proprio partner nonostante il passare del tempo. Lo dimostrano studi condotti dall’università olandese di Groeningen su 70 coppie eterosessuali, le quali dopo aver risposto ad un questionario sull’avvenenza propria e del partner e aver visionato le foto di tutte le altre coppie, hanno attribuito un punteggio più alto sull’attrattività del proprio partner rispetto a quelli delle altre coppie.

Non importa se oggettivamente il nostro amato non è perfetto, se ha dei difetti, se è troppo giovane o troppo vecchio: l’amore ha la proprietà di accettare e di amare tutto di lui, di renderlo meraviglioso nonostante i difetti. Riusciamo a vedere la bellezza in un corpo imperfetto, non per compassione, non per pietà – come la bella Christine per il Fantasma dell’Opera di Leroux – ma perché ciò che al mondo può apparire come imperfezione, nell’innamoramento e nell’amore viene rivestito di un valore trascendente, il valore dell’essere.

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Federica Fortunato

Sociologa e professional coach. Collabora dal 2000 con l’università IULM, ha tenuto corsi presso l’Università Statale degli Studi negli insegnamenti ad indirizzo sociologico e ha collaborato con il Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose ricerche universitarie, con l’ISTUR presso committenti privati e istituzionali, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e presso realtà aziendali italiane nel settore del lusso.

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