Ridere è un atto rivoluzionario

16 Settembre 2019



Ridere è un atto rivoluzionario
Ridere, ragazza truccata da clown

Ridere è un atto rivoluzionario perché stravolge un tempo precostituito.

Chi ha confidenza con l’arte della comicità sa che, per far ridere, più che la capacità autoriale o l’argomento trattato, occorre il tempo comico perfetto.

Fare ridere non è facile. La comicità nasce dalla capacità del comico di sfruttare e giocare sull’inaspettato.

La risata si genera perché l’artista scardina le aspettative del pubblico, con un elemento che sorprende e diverte.

Ridere fa bene, è un antidoto contro la sofferenza. Bisognerebbe ridere almeno dieci/quindici minuti al giorno, tutti i giorni. Durante la risata si rilasciano endorfine, si ossigena il cervello, si migliora lo stato psico-fisico.

Il filosofo francese Henri-Louis Bergson, nel suo trattato Le rire, (Il riso), sui principali meccanismi del comico ci spiega che ogni comportamento umano è risibile.

Si può ridere di tutto e di tutti: a fin di bene, per portare leggerezza, per affetto, per simpatia, per cordialità, per smorzare una situazione difficile, ma anche per sentimenti opposti alla cerchia della bontà: per cattiveria, per infliggere umiliazione, per sottomettere.

Il retro-pensiero di una risata può essere addirittura la drammaticità, il dolore.

Bergson nel suo trattato ci spiega che il comico sa staccarsi dalle emozioni per riuscire ad avere una visione lucida della realtà ed esige, per produrre tutto il suo effetto (cioè ottenere la risata del pubblico), qualcosa che somigli a un’anestesia momentanea del cuore e si rivolge alla pura intelligenza.

Il comico dunque ha la forza di farci ridere anche se dentro, gli esplode un grande dolore o nel suo quotidiano sta vivendo un dramma. Ha la capacità di isolarsi, impara a congelare le sue emozioni, per dar sfogo alla sua arte creativa. Le isola, ma non le rinnega. Sono coeve alla sua arte, spesso ne sono fredda ispirazione.

Il clown è il poeta, la figura più delicata, della comicità, perché è forma della sua stessa fragilità, della sua dissonanza, anche del suo disagio fisico che sa attraversare riempiendo la scena con una risata.

Esprime esprime la sua verità con pennellate d’assurdo, il suo è un linguaggio scevro di inutili accenti e grevi fonemi, e con lo stile proprio di tutti gli artisti suggerisce l’ascolto profondo della sua anima.

Il clown, metafora della condizione umana, ci insegna che nella vita dobbiamo saper isolare situazioni e momenti.

Delle volte ci sentiamo sconfortati e pensiamo che nulla possa ridarci entusiasmo. Ci sentiamo sfiniti, vinti e non vediamo risorse utili alla nostra ripresa, a cambiare la scena. Crediamo che la vita sia beffarda, ci sentiamo buffi o derisi dalle avversità.

Affastelliamo nella mente problemi su problemi; accumuliamo strati di tensione e di nervosismo, che ci induriscono persino i lineamenti.

Ci sentiamo orfani di noi stessi e non sappiamo più partorirci.

Crediamo di non farcela e non sappiamo da che parte ricominciare. È questo il momento di reagire.

I problemi restano, ma è il nostro atteggiamento verso la vita che deve cambiare e in un guizzo di creatività dobbiamo ricostruirci.

Tenere sempre un naso rosso (da clown) in tasca, può aiutarci a sorridere. Con la leggerezza di un clown possiamo imparare a restare in equilibrio su un alto monociclo, o a lanciare in aria clavi luccicanti per dare vita a nuove suggestioni, dare slancio alla nostra immaginazione, nutrirci di arte e di poesia.

È di pochi giorni fa la notizia che i medici membri di Médecins Francophones du Canada hanno iniziato a prescrivere ai pazienti oltre alle cure tradizionali, visite ai musei ritenendoli luoghi ideali per una terapia riabilitativa. I pazienti possono passeggiare nelle sale espositive, dunque fare attività fisica, ammirare i quadri che conferiscono serenità rendendo più facile il percorso di guarigione, perché nutrendosi d’arte e di bellezza si ottengono risultati positivi sul benessere psico-fisico.

 

 

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Ridere è un atto rivoluzionario

Luisella Pescatori

È direttore artistico e della didattica di Atelier la sua agenzia letteraria di Milano. Si occupa di editoria, di comunicazione e di rappresentanza di autori. Professionalmente si forma in Teatro, recitando in diverse compagnie di giro, in spot pubblicitari, in produzioni cine-televisive. Il Teatro è oggi uno dei plus delle sue docenze, esclusivamente individuali, di scrittura creativa. Ha lavorato per diversi anni in un’importante web agency milanese. È coautrice de “La profezia delle triglie” testo adottato come materia di studio al corso “Sociologia della devianza” Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Università della Calabria. Scrive su Huffpost.

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