Nostalgia rimpianto e rimorso servono per costruire il futuro?
Oggi una collega della redazione mi ha letto la lettera di una mamma del Sud che mi ha profondamente commosso. Questa mamma scriveva che le feste come Natale e Pasqua per lei hanno come vero significato quello di essere feste del “ritorno”. Sì, del ritorno a casa del figlio emigrato al Nord. Ed è proprio la sua attesa, nei giorni che precedono, a motivarla a riordinare e tirare a lucido la camera del figlio, a cucinare le prelibatezze e i suoi piatti preferiti, a curare il proprio aspetto per apparire bella ai suoi occhi.
Queste parole mi hanno ricordato il mio passato quando ero giovane e avevo ancora i suoceri che ci aspettavano per poter passare le feste o le vacanze insieme
E io con la mia nuova famiglia quante volte ho deluso la loro attesa! Sembrava sempre di avere troppo da fare per poter trascorrere del tempo con loro. Quando si è giovani giustamente si guarda soprattutto al futuro, al proprio futuro, si cerca di lavorare il più possibile per sopravvivere o migliorare la propria condizione. E non ci si rende conto che il tempo passa rapidamente soprattutto per le persone anziane. Rinviare un incontro, lo stare insieme, può voler dire rinviarlo a non più. Le persone invecchiano, talvolta perdono la voglia di vivere, di muoversi, di raccontare, oppure perdono la memoria e il senno. E poi muoiono.
Ricordo che ogni volta che chiamavamo i miei suoceri, prima delle feste o delle vacanze, ci raccontavano dei preparativi che stavano facendo in quel momento per accoglierci. Era tutto un fermento come nel Sabato del villaggio, descritto da Leopardi, o come per la mamma del Sud, anche se loro erano al Nord Est. Cercavano di attrarci con i manicaretti che stavano preparando, ci assicuravano che avevano arieggiato e pulito a fondo le nostre stanze, preparato i letti con le lenzuola pulite e stirate, lavato i vetri a specchio e che mancavamo solo noi!
Noi che puntualmente li chiamavamo ogni domenica dicendo che quel weekend non eravamo riusciti a raggiungerli promettendo che lo avremmo fatto il prossimo. Anche a Natale, Pasqua o nelle vacanze estive, non ci fermavamo più di un giorno. Meglio esplorare posti nuovi lontani che tornare alla casa conosciuta delle origini.
Solo ora mi rendo conto che la prospettiva con cui loro vivevano il tempo era diversa dalla nostra, e di quanto fosse importante il nostro ritorno a casa. Mi vengono alla mente le parole di mia nonna che spesso, quando aveva questi rimpianti, ripeteva il famoso detto: “Potea, non volle, or che vorrìa, non puote”[1] (quando i giovani possono fare qualcosa non lo vogliono fare, quando invecchiano vorrebbero farlo, ma è troppo tardi). Oppure, sospirava: “Se gioventù sapesse e se vecchiaia potesse!”. Quanti rimpianti e rimorsi doveva avere anche lei!
Parlando di queste cose, spesso le persone impegnate nelle attività quotidiane, sono abituate a considerare in modo negativo le virtù della memoria: la nostalgia, il rimpianto, il rimorso, il pentimento. Tendono a considerarle debolezze, regressioni. Invece, come scriveva Alberoni in un bell’articolo del Corriere della Sera del 1994 dovremmo aver più paura dell’oblio e della vendetta.
Dovremmo essere capaci di rinnovarci conservando memoria di ciò che siamo stati.
La civiltà, spiegava sempre Alberoni, è proprio questo: il ricordo della propria storia e la capacità di creare il nuovo. Anche l’individuo è l’unità di tutto ciò che è stato nel tempo. Dei tanti diversi “Io” con cui ha guardato il mondo da bambino, da adolescente, da adulto. La storia sgorga da movimenti in cui emergono insieme il passato e il futuro. L’arte è rimembranza. Lo scrittore attinge dal ricordo per ritrovare mondi perduti che gli consentono di dare senso alla sua vita e a quella degli altri.
La nostalgia non è regressione, non è sconfitta
Certo, l’emigrante lontano da casa, dagli amici ne sente un desiderio struggente, vorrebbe interrompere il suo viaggio, tornare indietro. L’adulto prova nostalgia della propria infanzia, quando era ancora viva sua madre, o quando i suoi bambini erano piccoli e lui poteva portarli in braccio e stringerseli al cuore. Ma in questo modo ne scopre il valore prezioso, ritrova sentimenti perduti, arricchisce il suo cuore inaridito.
La nostalgia non guarda solo al passato ma anche al futuro. L’emigrante che è partito per fare fortuna non vuol più essere ciò che era prima. Vuol ritornare arricchito, comperare la casa in cui ha vissuto, abbellirla. Poter dire a sua madre ormai vecchia: “Ora non hai più bisogno di lavorare come facevi quando ero piccino”. La nostalgia non ha come scopo di restaurare il passato, ma di redimerlo.
Il rimpianto non è semplice nostalgia
Contiene anche un rimprovero verso noi stessi per ciò che non abbiamo fatto e avremmo potuto fare. Non abbiamo agito, abbiamo sbagliato, l’occasione è passata. Ma attraverso il rimpianto il desiderio ritorna vivo e ci porta a cercare. Spesso un nuovo amore ha le sue radici nel rimpianto.
Quanto al rimorso, non ci sarebbe moralità senza il rimorso che è rimpianto morale, risveglio
Noi ritorniamo indietro e, rivedendo quanto abbiamo fatto, comprendiamo e soffriamo per la nostra malvagità. Vorremmo non aver compiuto quell’azione. Così siamo costretti a trasformarci, a fuoruscire dalla nostra pigrizia. Agire per riparare, per correggere.
Confortata dalle parole di Alberoni e riguardando i miei ricordi e le foto, mi convinco sempre più che anche per andare avanti occorre fermarsi a guardare il passato, riprendere le proprie radici con l’umiltà di cogliere insegnamenti che ne derivano facendo tesoro della saggezza che possono dare gli anziani. In fondo, anche nella colossale opera di cristianizzazione del mondo, prima di partire, San Paolo è tornato a Gerusalemme, ha compiuto un pellegrinaggio alle sue radici dove ha attinto la forza per continuare.
Mi domando se oggi i giovani si rendano conto che per cambiare il mondo occorre partire da una base solida, costruirsi delle fondamenta, proprio come avviene per le case. E per far questo ci vuole tempo, pazienza, perseveranza, umiltà. Chi è in grado oggi di trasmettere questi valori?
[1] Luigi Fiacchi, noto come Il Clasio (1754-1825), I due susini.