Come i governanti si autodistruggono

1 Novembre 2019



Come i governanti si autodistruggono
Come i governanti si autodistruggono

Le vecchie classi dirigenti, secondo l’analisi acuta di Vilfredo Pareto, sono caratterizzate dalla debolezza verso gli avversari e i criminali e da “un’acre voluttà nell’avvilire se stess(e), nel degradarsi, nel deridere la classe cui si appartiene, nello schernire tutto ciò che prima si credeva rispettabile. I Romani della decadenza si abbassavano al livello degli istrioni. (…) ora – continua Pareto riferendosi alla sua epoca - si vede in alcuni paesi la borghesia coprir d’oro gli autori che in teatro quotidianamente l’insultano, che inzaccherano di fango la toga del magistrato, che gettano veleno su tutto ciò che costituisce la forza di una società.

 

Ma perché avviene tutto ciò anche oggi?

Perché anche oggi le élite al governo si mostrano incapaci di trovare le soluzioni alle crisi e ai problemi che via via si presentano. Forse le grandi questioni mondiali non sono risolvibili a livello nazionale, ma ci sono problemi legati ai territori locali, più piccoli ma più vicini ai cittadini, che si potrebbero affrontare e risolvere dando così segno di attenzione e amore verso di loro. Invece, l’impressione generale è che questo non avvenga.

Le nostre classi dirigenti, prese dalle loro crisi personali o interne ai propri partiti, perdono di vista l’insieme della realtà e non sono in grado di coinvolgerci in un’opera collettiva di riscatto.

Oggi, lontani dal momento creatore della Nazione e della Costituzione, colmo di ottimismo e di speranza, che non hanno vissuto nel suo fermento positivo, hanno dimenticato gli ideali e i valori che ci hanno portato alla nostra democrazia, spesso non ne conoscono le basi e, se le conoscono, non hanno più la forza e la determinazione a rispettarle e a farle rispettare.

La loro impotenza crea dei sensi di colpa e li trascina verso il loro annientamento e quello della società fino al “godimento perverso (…) di vedere scosse le basi dell’ordine sociale” di cui parlava Pareto.

 

Al tempo stesso, anche in tutta la società si diffonde una sorta di ricerca di autodistruzione alimentata da sensi di colpa di ogni tipo e verso tutti.

Senso di colpa che proviamo in ogni nostro gesto quotidiano: se mangiamo, lo facciamo a spese di chi non ha cibo sufficiente; se compriamo dei beni, abbiamo sfruttato le risorse ambientali o i lavoratori del terzo o quarto mondo sottopagati; se viaggiamo, contribuiamo all’inquinamento della Terra; se ci troviamo di fronte gli immigrati, la loro situazione è il risultato del nostro colonialismo del passato e dell’imperialismo di oggi; se abbiamo un’impresa che produce, riscaldiamo il pianeta; se siamo ricchi o abbiamo raggiunto il successo economico siano visti con sospetto sia dalla morale cattolica sia da quella marxista che ci fanno sentire in colpa verso il povero o il proletario, e così via.

Nessuno nega il fondamento di questi sensi di colpa. Ma, se ci fermiamo a questo atteggiamento, creiamo una società depressa. E una società depressa è una società che smette di credere, di amare, di sognare, di produrre. È una società infelice.

 

Un altro sintomo di invecchiamento rilevabile in una élite al governo, è la sua litigiosità

Infatti, l’inadeguatezza di chi ci governa e la conseguente perdita di autostima che i politici e i nostri amministratori nutrono per loro stessi la proiettano sugli altri, sui loro colleghi. Si denigrano a vicenda anche se appartengono allo stesso partito, attaccano l’avversario invece delle sue idee, ne criticano l’operato invece di proporne un’alternativa concreta. E tutto ciò avviene di fronte alla gente che diventa sempre più scettica e indifferente a quello che succede ai vertici.

Pareto paragona il nostro tipo di politici alle comari al capezzale del moribondo, che, nel tentativo di guarirlo, si mettono a litigare fra loro circa il rimedio più efficace, che nessuno conosce, e intanto lasciano morire il malcapitato.

Lo stesso avviene nella nostra società, in continua attesa della soluzione giusta e urgente, alla crisi e ai mille problemi che la soffocano, ma che vede solo un teatrino di comari che si insultano a vicenda mentre a lei viene sempre più a mancare l’ossigeno che le dà vita. Speriamo che il malato, come è già avvenuto altre volte, raccolga tutte le forze che gli sono rimaste e alla fine trovi da solo la forza di rialzarsi.

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Rosantonietta Scramaglia

Laureata in Architettura e in Lingue e Letterature Straniere, ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale. Ha compiuto studi e svolto ricerche in Italia e in vari Paesi. Attualmente è Professore Associato in Sociologia presso l’Università IULM di Milano. È socia fondatrice di Istur – Istituto di Ricerche Francesco Alberoni. È autrice di oltre settanta pubblicazioni fra cui parecchie monografie.

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